Ricostruire relazioni. Si è messa in moto la macchina fatta di volontari che da tutte le parrocchie accompagnano i più giovani durante l’estate. Sono i Centri ricreativi estivi. Prima di entrare nel dettaglio ecco alcuni numeri.

Per la sola città di Faenza si contano una media di 300 posti a settimana a disposizione dei ragazzi per passare la loro estate all’aperto, facendo attività fisica e divertendosi. Le parrocchie hanno preparato, assieme alle cooperative coinvolte, uno stuolo di quasi 100 tra educatori e animatori. Tutti gli organizzatori sono concordi nel ritenere che la voglia di stare assieme e divertirsi è tanta, forse più che gli altri anni. E qui si riscopre il valore del rapporto e del calore umano: non più uno schermo, ma una palla che rotola tra i piedi, opportunamente igienizzata.

E infatti se al primo posto c’è la voglia di rivedersi, al secondo c’è il rigoroso rispetto delle norme sanitarie. Non nascondono gli organizzatori dei centri parrocchiali la lentezza della trasmissione delle linee guida, ma allo stesso tempo si dichiarano pronti, anche in virtù del buon risultato dell’anno scorso (dove, ricordiamolo, c’erano regole molto stringenti). Un’estate allora ancora limitata, su certi elementi, per via del Covid, ma che scalda i motori. In vista di una visione unitaria, gli educatori delle singole parrocchie sono stati invitati sabato 29 maggio scorso in seminario dove sono stati svolti diversi laboratori formativi. E se ancora lontana appare la normalità, è utile invece ricordare la straordinarietà di tutte le parrocchie che concedono i loro spazi per questo momento di svago e ricreazione ai più piccoli, senza dimenticare il ruolo formativo.

Cristo è modello ed esempio a cui tutti i cre parrocchiali tendono, e che vogliono mettere al primo posto. Sul suo esempio – e su quello dei personaggi che guideranno i vari percorso – l’aspetto educativo è fondamentale.

Buoni cristiani e onesti cittadini, diceva don Bosco, a chi chiedeva di dirgli quali erano le basi dei ragazzi che uscivano dal suo oratorio. E nel breve volgere di un’estate, dove certo si starà con la famiglia al mare o in montagna, c’è anche lo spazio per gli amici, per i sorrisi e la voglia, per una settimana o più, di gareggiare in un sano spirito sportivo, a ruba bandiera o a canapino, sfidandosi in quiz d’intelligenza o costruendo qualcosa con le proprie mani. Ma, alla fine, quello che più importa, è rivedersi e riabbracciarsi, a distanza, ma col cuore puro.

La parola agli educatori

C’è chi decide, per un pezzo della sua estate di dedicare il suo tempo per un centro estivo. Si possono fare tante cose, eppure ragazze e ragazzi decidono di spendere i loro momenti per tornare in parrocchia per pregare assieme, giocare con i più piccoli e dedicare loro del tempo.

Abbiamo sentito alcuni educatori e animatori da varie parrocchie, e abbiamo posto loro una semplice domanda: cosa vuol dire per te fare l’educatore o l’animatore?

Spoiler alert: non lo si fa, lo si è. E qui la prima riflessione: molti degli intervistati da subito hanno ribadito che loro non esauriscono il loro mandato in quelle brevi settimane d’estate, ma tutto l’anno portano avanti uno stile di vita che vuole essere quello dell’educatore e animatore, ovvero un modello positivo, e vicino a Cristo.

Antonio ha 17 anni e da tre anni fa l’educatore. «Per me fare l’educatore è rendermi utile, riuscire a sviluppare la relazione e il rapporto prima con i ragazzi, poi tra noi équipe. Specie oggi, che molti di noi e dei ragazzi che avremmo, non si sono visti di persona. Mi piace che interagiscano con loro ed è bello trovarsi assieme a pregare, all’inizio o alla fine della giornata».

Elena ha invece 19 anni, e da cinque è animatrice. «Anzitutto io non faccio l’animatrice, io sono animatrice. Per me vuol dire aiutare i ragazzi, stare con loro e solo per il loro bene, come diceva don Bosco. E lo faccio, lo continuo a fare, perché è un insegnamento che mi hanno passato gli animatori che sono venuti prima di me: è una bellezza questa dell’animazione che porto avanti, ed è anche un divertimento per me».

Davide ha 24 anni, ed è ormai dieci anni che trascorre la sua estate (e il suo tempo libero durante l’anno) in parrocchia per il Cre. «Per me è un diventare grande. Sento il peso delle responsabilità, ora poi che sono nel consiglio e faccio delle scelte. È una fatica bella, per un sorriso di un ragazzo. E pensare che oggi sono un punto di riferimento mi fa un po’ tremare le gambe. Però davvero quando parlo con un ragazzo e vedo il suo sorriso a fine giornata perché si è divertito, mi si scalda il cuore, e penso che gli abbia fatto del bene. E un bene più grande ci guida, l’insegnamento e lo Spirito di Gesù Cristo».

Gabriele è animatore da 11 anni e, con una semplicità incredibile, ci dice che per lui è impegno e testimonianza, comunicare la vera fede e aiutarli, con l’esempio, anche nelle scelte di tutti i giorni.

Infine, abbiamo ascoltato Chiara, veterana ormai: a 29 anni ha collezionato 15 presenze: «Un’estate senza cre non è una vera estate. È il coronamento di tutte le attività che facciamo all’anno in parrocchia. Per me essere educatore è mettersi a disposizione e al servizio, per vivere un’esperienza che ha una caratteristica importante: trasmettere la bellezza dello stare assieme sulle orme e l’esempio del Cristo. Parto la mattina e torno a casa a sera stanca, ma è una stanchezza bella, che riempie». Le parrocchie che quest’anno apriranno i loro cancelli per ricevere tante ragazze e ragazzi lo fanno tutto l’anno: un percorso che da un lato arricchisce i più piccoli, ma è momento di crescita e di formazione per i più grandi. Un’esperienza che non dura solo da giugno a settembre, ma un impegno costante. La forza della fede, la bellezza del sacrificio e l’amore verso l’altro sono le chiavi di lettura alla domanda: perché fai (pardon, sei) educatore o animatore?

Mattia Randi