Roberto Mancini è uno psicologo, Antonio Conte un generatore di stress. La forza delle idee e del pensiero positivo: Roberto Mancini non è solo l’allenatore che ha riabilitato l’Italia del calcio dopo la maledizione svedese, dandole un gioco e un’identità, ma è anche lo psicologo che l’aiuta a superare i momenti difficili. La partita con la Turchia è stata prima sofferenza e poi tripudio e la svolta sono state le parole del tecnico nell’intervallo. “Mancini ci ha detto di rimanere calmi e concentrati” ha raccontato un titolare dell’Italia. Il c.t. funziona anche da antistress contro il logorio del calcio moderno. L’esordio in un Europeo, specialmente per una squadra inesperta e desiderosa di riscattarsi come la nostra, è un momento emozionalmente complicato. E il primo tempo frustrante poteva sgonfiare il gruppo. Mancini ha gestito il momento con maestria, abbassando i toni. Una scelta felice. “Abbiamo un allenatore che la pressione ce la toglie”, racconta Bonucci, il vicecapitano, che ha conosciuto bene anche Conte, così diverso nei modi da Mancini. La partita con la Svizzera è stata un capolavoro per intensità, possesso di palla e dominio del gioco.

Non c’è solo una via per vincere: lo sa bene Mancini e lo sa anche Antonio Conte, che ha portato l’Italia sino ai quarti nel 2016, eliminato ai rigori dalla Germania. Conte, come il Mancio, ha impreziosito le bacheche dei club che ha guidato. Due allenatori differenti: entrambi hanno creato un gruppo solido e affidabile. Partendo da poli lontani. Mancini non stressa i suoi discepoli. “È un leader sereno che gestisce il gruppo in equilibrio tra disciplina e libertà”, racconta Gianluca Vialli, l’amico e compagno di una vita, anche lui alle prese con una battaglia fondamentale. Chi lo ha visto da Fazio qualche domenica fa, quasi ha faticato a riconoscerlo da quanto è cambiato, persino nel tono della voce.

Conte, invece, vive sempre in trincea, i nemici lo caricano e alza costantemente la linea della concentrazione. L’ex interista è un accentratore: tutto deve passare da lui, non solo le questioni di campo, ma anche quelle apparentemente secondarie perché per lui i dettagli fanno la differenza. Mancini dà l’idea di essere diverso, delega e condivide, soprattutto con il suo gruppo di fedelissimi. E la preparazione, avendo tempi stretti, l’ha gestita lavorando più sul piano individuale e responsabilizzando i giocatori.

Nella sua Italia i giocatori sono amici, non colleghi. Una squadra di calcio deve essere, in primo luogo, una comunità di persone, che le circostanze portano a convivere e a condividere un destino comune. Nel caso di squadre nazionali impegnate in competizioni internazionali, la convivenza totale, forzosa e esclusiva, avviene per un periodo non breve e ha come suo contenuto fondamentale il raggiungimento di un obiettivo agonistico. Dunque il clima che si stabilisce nelle lunghe ore di allenamento, nelle stanze del ritiro, nei pasti e nelle ore libere è decisivo ai fini del risultato.

È presto per dare giudizi su questi Europei, come ha detto saggiamente Roberto Mancini: mancano tante, difficili, partite. E non è tempo per facili entusiasmi e azzardate profezie. Ma una cosa si può dire, da subito. Per ora, fin qui, questa nazionale sembra molto unita, molto affiatata. Quello che sappiamo, per certo, è che una comunità riesce più facilmente a raggiungere un obiettivo se è composta da persone che si stimano e si sono legati da un forte senso di appartenenza alla squadra.

E questo vale non solo nel calcio. Vale in ogni sport di squadra, in un’azienda, in un gruppo musicale e, anche, in un partito politico.  Per vincere, l’armonia è da preferire al rancore sordo o all’invidia, sempre.

Tiziano Conti