Avete mai sentito parlare di esercizi spirituali? Per la vita cristiana si tratta di un’esperienza significativa, consigliata soprattutto quando si ha il desiderio di approfondire la propria relazione con Dio o in vista di scelte importanti. Forse, per alcuni, si tratta di tempo perso, una pratica antiquata e obsoleta. Preferisco stare dalla parte di chi considera gli esercizi spirituali come un “tempo preso”, o quasi “regalato”.

Ottimizzare il tempo è abitudine tanto radicata nella nostra cultura che nessuno ci fa ormai caso. Fatto sta che cerchiamo costantemente di impiegare ogni attimo della nostra esistenza, e di farlo al meglio.

Gli esercizi spirituali comportano uno sguardo diverso sul tempo.

Si tratta di trovare un periodo, nella propria vita, da dedicare più intensamente alla preghiera.

La durata può variare, è chiaro, dipende dalle necessità che si hanno e dalle proprie possibilità; una settimana all’anno comincia a essere una buona occasione.

Uno sguardo diverso sul tempo. Significa vivere le giornate e ogni singola ora senza cercare di riempirla con lavoro, pensieri o qualunque occupazione e hobby si possa avere; invece, cogliere in ogni momento i doni che Dio fa.

Siano essi la vista di un bel panorama, lasciarsi accarezzare dal vento leggero, qualche bel ricordo (un abbraccio, un amico fidato, un consiglio importante, l’aiuto di Dio in un momento preciso…) da conservare nel cuore, il buon frutto di un momento di preghiera, poter godere del riposo dalla routine quotidiana. In estrema sintesi: un tempo che non abbiamo bisogno di impiegare, ma nel quale possiamo lasciare che i doni di Dio ci raggiungano e gioire di essi.

Qualche tratto caratteristico degli esercizi spirituali?

Prima di tutto, aspettative e attese. Ci si accosta agli esercizi spirituali inevitabilmente con sentimenti del genere. Da un lato, perché quando si sceglie di farli si ha un obiettivo, in genere; di solito c’è qualche motivazione precisa per cui si chiede a Dio la pazienza di farsi stressare da noi senza sosta per una settimana intera. Dall’altro lato, si potrebbero – credo sia comprensibile – avere nel cuore sentimenti contrastanti, frutto dei pensieri più disparati: «l’ultima volta sono arrivato alla fine stremato, speriamo vada meglio; chissà come andrà; riuscirò a fare la settimana senza perdermi nelle mie ansie? E se poi sento che Dio mi suggerisce qualcosa? Desidero davvero un po’ di silenzio e un ritmo diverso dal solito; Dio mi aiuterai?».

Altra caratteristica fondamentale è la preghiera. Il primo giorno è importante per entrare nel clima di preghiera. Serve tempo per abituarsi ad accogliere stimoli differenti da quelli soliti dello smartphone e dei vari media.

Poi, però, ci si immerge e grazie alla compagnia di una guida spirituale, pian piano si prende confidenza anche nel dialogo con Dio. Almeno per le settimane di “tipo ignaziano” (secondo la spiritualità dei Gesuiti), si raccomanda di scandire la giornata secondo vari momenti di preghiera – alternata a riposo – a cui fa seguito una rilettura; essa è utile per raccogliere e condensare frutti e sollecitazioni che vengono dal colloquio con Dio.

Si vive nel silenzio, certo, ma oltre a parlare con Dio, ogni giorno c’è il confronto con la guida spirituale. Essa aiuta a discernere ciò che si vive nella preghiera: ho parlato con Dio? Ho dato tempo solo a me stesso, ai miei pensieri? Il bel sentimento che ho provato a che mi conduce?

Viene da Dio o no?

La preghiera sincera e l’accompagnamento spirituale permettono di focalizzare desideri, timori e attese, che accompagnano la propria vita.

Infine, scelte. In seguito a tutto ciò – è chiaro – si può scegliere. Di fronte a quella consapevolezza che ormai si è fatta chiara in me, durante la settimana, posso prendere una decisione.

Marco Fusini