Il periodo trascorso alla Casa della carità di Corticella è stato per me tempo di grazia e ricco di sorprese. Nel 2019-20 ho svolto là lo stage pastorale. Vi abitano una quindicina ospiti, da accudire in toto, con varie patologie. La struttura è gestita dalla parrocchia e i volontari che vi prestano servizio. L’anima della Casa è l’essere una struttura gestita in modo familiare dalle consacrate e dai volontari, il tutto vissuto come prolungamento dell’eucarestia che si celebra ogni giorno, come servizio ai poveri. Durante quei mesi è stata importante la condivisione della vita con le persone che abitavano sotto il mio stesso tetto: gli ospiti, suor Silvia – responsabile della casa – e Maurizia; infine i volontari.

Ancora più importante è stato approfondire la relazione con il Signore. Lui mi ha sempre sostenuto e mi ha aiutato a leggere in profondità ciò che stava succedendo. In ultimo la preghiera con gli ospiti: il loro modo semplice di pregare ha donato suggestioni che vengono veramente dal Signore.

Mi porto quest’esperienza nel cuore, ricca di relazioni, di gioie, fatiche, ma soprattutto di persone che hanno riempito e colmato la mia vita con quella forza di volontà che mi mancava prima. Credo sia stato importante abituarmi a chiedere aiuto nei momenti di difficoltà, non affrontare da solo le cose, ma sapere che c’è una spalla su cui contare sapendo di essere accolto. Ancora oggi continuo a fare servizio come volontario alla Casa, mi sembra importante rimanere legato a una realtà che mi ha fatto crescere e mi aiuta a rimanere coerente con il vangelo nel cercare di seguire il Signore nella vita quotidiana.

Lo scorso mese purtroppo il virus è arrivato anche lì. Appena saputo della positività di un ospite mi sono chiesto cosa fare: se rimanere in seminario e, da lontano, stare vicino con la preghiera o andare a dare una mano. Così credo che il Signore mi abbia aiutato a capire cosa fare grazie a un confronto molto bello con il rettore del seminario. Così sono tornato alla Casa in una situazione da reparto Covid-19, tutti con le tute impermeabili per chi andava a fare servizio a diretto contatto con gli ospiti. Le giornate sono state intense, ma il Signore e san Giuseppe, protettore della casa, non ci hanno mai lasciati soli. Proprio il 18 marzo abbiamo trovato un primo miracolo: erano tutti negativi dopo 14 giorni a parte i due ospiti positivi già isolati. Un sollievo e un segno. Un altro è stato quando li abbiamo “liberati” dalle camere, perché tutti negativi: sembrava che non si vedessero da tantissimo, è stato molto bello.

Un ultimo aspetto è stata la preghiera che, fatta solo tra noi volontari che abitavamo in casa, era una preghiera “povera” perché mancava la parte più ricca della casa, gli ospiti. Quando sono tornati, è stata una gioia rivivere la preghiera con gli ospiti: più disordinata, con più confusione, ma allo stesso tempo ricca di voci che si innalzano al Signore.

Emanuele Casadio