Una tela enorme, alta 12 metri, sta prendendo forma alla chiesa di Santa Maria dell’Angelo. Si tratta della nuova opera di Filippo Zoli, artista faentino che qui espone in collaborazione con il Museo diocesano. Mater, questo è il nome dell’opera, non è solo una tela, ma anche una performance di arte visiva e musicale iniziata sabato scorso, 16 maggio. Filippo Zoli, classe 1991 si è diplomato all’Istituto d’arte Ballardini nel 2009 e dai 12 ai 17 anni ha frequentato la bottega della pittrice Vittoriana Benini, a Mordano. Terminati gli studi a Faenza, si sposta a Roma per studiare cinema e continuare a realizzare street art. Arriva poi a Milano per studiare all’Accademia delle belle arti di Brera. Negli anni ha viaggiato per l’Italia passando per Bologna, Milano, Verona, Venezia, Torino, ma anche all’estero come Berlino, Las Vegas. Le arti visive sono il suo campo di ricerca, in cui dimostra grande versatilità. Spazia dalle composizioni su tela, alla street art, al cinema e documentari, ma il suo stile resta sempre d’impatto e vicino alla realtà. Lui stesso lo definisce «espressionismo urbano astratto».
“Ascolto la voce degli ultimi”
«La mia arte deve raccontare la realtà e deve farlo insieme alla realtà stessa, comunicando con le persone, ascoltando la voce degli ultimi e infine rappresentandola. La mia arte urla e per realizzarla ho bisogno di grandi spazi, come un muro o una grande tela. Non riesco a urlare in una miniatura» racconta Zoli. E continua «Il dialogo con le persone mi è fondamentale per canalizzare l’arte e rappresentarla. Anche questa volta, con Mater è così. La mia arte è anche performance, e mentre dipingo, oltre alla musica che mi aiuta moltissimo, ascolto e parlo col pubblico. Il confronto continuo è al centro del mio lavoro». Infatti mentre Filippo dipinge, la chiesa è aperta al pubblico che non solo è invitato a guardare ciò che fa l’artista, ma anche a esserne partecipe facendo domande o commentando, tutto questo con un sottofondo musicale, ogni volta diverso, dalla chitarra, al clarinetto, al saxofono.
La maternità e l’alluvione
Da qui la realizzazione dell’opera Mater. «La tela rappresenta la maternità – spiega -, ma non è la solita maternità ricca e irreale che spesso vediamo rappresentata. Tutte molto simili, dorate, ma lontane dalla realtà e dal raccontare una storia di vita comune. Quello che abbiamo scelto di fare, insieme a Giovanni Gardini, curatore dell’opera, è un qualcosa che racconti sì la maternità, ma anche Faenza in uno dei suoi momenti più difficili e reali: l’alluvione. O meglio, le tante alluvioni che hanno colpito da vicino la mia famiglia, oltre che buona parte di Faenza». La scelta dei colori e dello stile non è casuale, ma ha un significato profondo e personale. Le alluvioni che hanno colpito il nostro territorio hanno lasciato un segno evidente nella comunità e un faentino come Filippo, seppur lontano (perché durante in quel periodo era a Milano e tornava quando poteva per aiutare), lo sa bene.
Partendo da questo ha, con fatica, creato un colore che fosse il più simile e il più reale a quel fango che ha invaso la città.
Prossimi appuntamenti 23 e 24 maggio
La tela in questi giorni è ancora in corso d’opera, Le prossime performance saranno venerdì 23 dalle 18 alle 19 e sabato 24 dalle 11 alle 12 dove sarà accompagnato, venerdì da Ettore Marchi, docente di liuto, e poi da Michele Fontana e Caroline Leigh Halleck col sax. Sempre da venerdì l’opera non sarà più orizzontale nel pavimento ma sarà issata in verticale, e Filippo dipingerà su una scala. Venerdì 20 giugno dalle 21 è la data scelta per la presentazione finale dell’opera conclusa, insieme a un concerto d’orchestra. Zoli ha raccontato che Faenza è solo l’inizio di un percorso che lo porterà in altre città per realizzare nuove performance artistiche di questo genere. La prossima sarà Pavia e che avrà come soggetto Sant’Agostino, dato che le sue reliquie si trovano lì. Sono tanti i racconti di chi ha assistito alle performance, ma tutti concordano sull’emozione che è capace di suscitare. L’invito è quello di andare a vedere questa opera e di partecipare alla performance di Zoli per lasciare un proprio “segno” sulla tela.
Jacopo Cavina