Di seguito pubblichiamo una lettera arrivata in redazione.
Mi chiamo Mattia, ho 18 anni e sono un giovane cattolico. Ho partecipato con grande interesse all’evento “Rigenerare l’impegno politico” organizzato a Faenza, con ospiti di spessore nazionale come Alessandro Bracci, vicepresidente nazionale della Compagnia delle Opere, Giuseppe Notarstefano, presidente nazionale dell’Azione Cattolica, e Francesco Scoppola, presidente del Comitato nazionale Agesci. Ascoltare le loro parole mi ha portato ad avviare una riflessione personale su un tema urgente: qual è oggi il posto dei giovani cattolici nella politica? E soprattutto: perché dovremmo impegnarci davvero? La risposta l’ha già data il nostro vescovo Mario Toso che in occasione della chiusura della visita pastorale, quando ha richiamato l’urgenza per i cattolici non solo di fare volontariato per alleviare le conseguenze della povertà, ma di formare una nuova classe politica capace di eliminarne le cause. Serve quindi formazione politica. Ma anche coraggio. E onestà intellettuale. Ho individuato tre grandi problemi che frenano oggi la presenza attiva dei giovani cattolici in politica: la relegazione, la mimetizzazione, e la strumentalizzazione.
Il primo ostacolo è la relegazione tematica. Tanto i giovani quanto i cattolici sono invitati a occuparsi solo di alcuni ambiti “concessi”. I giovani possono parlare di ambiente, diritti civili, gender, lotta alle discriminazioni. I cattolici, invece, vengono confinati nel sociale, nel mondo del volontariato e nella beneficenza. Ma su temi cruciali come sicurezza, economia, impresa, lavoro, sviluppo urbano, giustizia o scuola, la loro opinione viene ignorata o considerata irrilevante. Non perché manchi la competenza ma perché si preferisce che i giovani e i cattolici restino nella “riserva indiana” del consenso garantito. Così si evita il confronto vero. Questa gabbia invisibile toglie ai cattolici e ai giovani il diritto di essere pienamente partecipi in politica. Ma non esistono “temi da giovani” o “temi da cattolici”: esiste una visione giovane e cattolica della realtà, che può e deve riguardare tutto. Serve un cambio di passo. La Dottrina sociale della Chiesa offre strumenti profondi per affrontare il tema del lavoro, della casa, della dignità umana, della libertà di educazione, della legalità. I giovani non sono solo energia, sono mente, cuore e voce. Devono poter parlare di tutto, non solo di ciò che li rende comodi per gli altri.
Il secondo grande ostacolo che oggi il mondo cattolico incontra nel rapporto con la politica è quello che il Vescovo Toso ha definito come “mimetizzazione dell’identità”. Si tratta di una dinamica che non si limita alla semplice ritrosia nell’esporsi, ma riguarda qualcosa di più profondo e più serio: una forma di rinuncia sistematica alla testimonianza. Nel corso degli ultimi decenni abbiamo assistito a un fenomeno inquietante. Numerosi esponenti politici, anche a livello locale, si definiscono cattolici, rivendicano appartenenze ecclesiali o associative, partecipano ad attività parrocchiali o comunitarie. Tuttavia, una volta eletti o inseriti nel contesto istituzionale, non traducono quei valori in azione concreta. Anzi, tacciono proprio su quei temi che più di ogni altro avrebbero bisogno di una voce chiara e libera. Non è raro trovare consiglieri, assessori, candidati che si dicono “cristiani” e magari sono membri di storiche associazioni ecclesiali, ma che poi non spendono una parola per difendere la vita, la libertà educativa, il ruolo della famiglia, il valore del lavoro come vocazione, la dottrina sociale della Chiesa come riferimento per l’equità e la giustizia. Temi fondamentali per l’identità cattolica diventano improvvisamente fuori luogo, divisivi, politicamente scomodi.
Il terzo ostacolo è forse il più grave. È la strumentalizzazione della fede. C’è chi non si nasconde, ma sfrutta. C’è chi usa l’appartenenza religiosa, associativa o educativa come strumento elettorale. E questo, a livello locale, è un fenomeno molto più diffuso di quanto sembri. A Faenza, negli ultimi anni, diverse liste civiche hanno candidati provenienti da associazioni cattoliche. In teoria, nulla di strano. In pratica, però, si tratta spesso di operazioni costruite a tavolino, che utilizzano la credibilità del mondo cattolico per creare consenso personale o favorire partiti senza identità chiara. Alcune figure, legate a parrocchie, movimenti o centri educativi, sono state presentate come “laici impegnati”, ma non hanno portato nessuna testimonianza pubblica di valori cristiani nelle sedi politiche. Anzi, hanno votato o sostenuto posizioni contrarie a quei valori, restando in silenzio. Questo crea confusione, mina la fiducia, e indebolisce la presenza cattolica nella società. Perché se tutto è cattolico, nulla lo è davvero. E se chi porta la croce sul petto poi si piega alle convenienze del momento, la testimonianza diventa retorica. Allo stesso modo, non è accettabile che associazioni cattoliche vengano identificate con liste o candidati. Una comunità ecclesiale non è un serbatoio di voti, ma un luogo libero. Quando un’associazione viene usata per promuovere un progetto politico specifico, perde la sua forza profetica.
Chi vuole rigenerare davvero la politica non può accettare né la relegazione, né la mimetizzazione, né la strumentalizzazione. Serve una presenza libera, consapevole, preparata. Serve una generazione che non si lasci usare, non si vergogni, e non si accontenti degli spazi concessi. Serve formazione, discernimento, profondità. E serve anche una missione chiara, che parta dal basso e costruisca nel tempo una nuova visione della politica