Fuochi che illuminano la notte: tornano dal 26 febbraio al 3 marzo i Lòm a Mêrz per celebrare il passaggio tra l’inverno e la primavera. Un rito ancestrale le cui date vanno rigorosamente rispettate. Si narra infatti che solo in quei sei giorni ci si potrà propiziare un buon raccolto e scacciare gli spiriti maligni. I Lòm a Mêrz affondano le loro radici in epoche lontane, quando i contadini accendevano fuochi per illuminare l’inizio del mese di marzo, auspicando fertilità e abbondanza per i raccolti. Un’usanza che si riallaccia ai riti pagani dei Celti, poi adottata dai Romani, che accendevano fuochi in onore di Cerere, dea della terra e della fertilità.
I fuochi propiziatori nelle campagne romagnole

Nelle campagne romagnole, questa tradizione è rimasta viva per secoli: sterpaglie e residui di potatura davano vita a grandi falò attorno ai quali si riuniva la comunità. Uno dei pochi momenti di aggregazione, in cui si cantare, ballare e condividere cibi semplici come una fetta di ciambella (quando c’era) e un bicchiere di vino. Un tempo, il paesaggio agricolo della Romagna era diverso da come lo conosciamo. Oggi dominato dalle aziende frutticole, che negli ultimi ottant’anni hanno reso florido il settore agricolo locale, un tempo vedeva distese di seminativi come grano, orzo e mais. Nei giorni dei Lòm a Mêrz, i contadini bruciavano i residui delle potature, sterpaglie raccolte nei campi, residui vegetali accumulati lungo fossi, fiumi e corsi d’acqua, contribuendo così alla loro pulizia naturale. Questo lavoro, era allora affidato alle mani esperte dei contadini, veri custodi del territorio. Il fuoco dei Lòm a Mêrz ha da sempre un significato ambivalente: è elemento distruttore ma anche purificatore, luce che allontana il buio e annuncia la rinascita della natura. Nel mondo contadino, questo rito aveva una duplice funzione: da un lato, liberare i campi dai residui invernali, dall’altro scacciare gli spiriti maligni che si narra abitassero nelle sterpaglie, e propiziare la nuova stagione.
La riscoperta della tradizione a inizio anni Duemila

Dopo qualche decennio di oblio, la tradizione è stata riscoperta all’inizio degli anni Duemila dall’associazione “Il Lavoro dei Contadini”. «Negli anni ‘70 il mondo contadino era visto come arretrato – racconta Lea Gardi, presidente dell’associazione– perché si identificava il progresso con l’industria e la città. Oggi, invece, si riscopre il valore della terra e della cultura rurale. Il nostro obiettivo è trasmettere ai giovani il calendario delle tradizioni, affinché anche in futuro si continuino ad accendere i fuochi, come avviene per la notte di San Giovanni o per le focarine di San Giuseppe».
L’edizione 2025 dedicata ai bambini contadini
L’edizione 2025 sarà dedicata ai bambini, figure centrali nella vita rurale di un tempo. «Abbiamo scelto questo tema per raccontare l’infanzia nelle campagne tra Ottocento e Novecento – spiega Gardi -. Fino ai primi decenni del secolo scorso, i figli dei contadini crescevano immersi nella realtà agricola. Le scuole rurali erano poche e difficilmente accessibili». Molti dovevano percorrere chilometri a piedi per raggiungere la scuola più vicina, in mezzo a neve, pioggia, ghiaccio e fango, o sotto la calura estiva per raggiungere scuole fatiscenti, senza riscaldamento, in cui anche le maestre andavano malvolentieri. Le prime scuole nacquero presso le parrocchie o grazie all’impegno di benefattori e associazioni filantropiche. Solo nel 1923 lo Stato istituì ufficialmente le scuole rurali, che in pochi anni superarono le 10.000 unità. «Tuttavia, la frequenza scolastica era spesso discontinua: la scuola rappresentava un lusso per molte famiglie contadine, che avevano bisogno delle braccia dei figli per lavorare nei campi, badare agli animali o aiutare nei lavori domestici. Erano bambini erroneamente considerati “ignoranti” – racconta Gardi –, possedevano un sapere profondo e istintivo legato alla natura, al clima, ai cicli della terra. Sapevano riconoscere i tempi della semina e della raccolta, capire i segnali del cielo, allevare gli animali. Un bagaglio di conoscenze che oggi viene riscoperto con rinnovato interesse». Negli ultimi anni, l’iniziativa ha visto un crescente coinvolgimento delle scuole, che partecipano ai Lòm a Mêrz per avvicinare i ragazzi alla cultura contadina. «Uno dei momenti più toccanti dello scorso anno è stato il rito simbolico proposto da un’insegnante – conclude Gardi – ai bambini è stato chiesto di scrivere su un foglio i loro pensieri negativi per poi bruciarli nel fuoco, lasciandoli andare con il fumo della tradizione».
Barbara Fichera