La situazione in Congo rimane incerta: mentre la popolazione di Bukavu inizia a sperare nella pace, sul fronte continuano scontri e violenze. Padre Giovanni Querzani, missionario brisighellese, racconta le ultime ore di tensione e la fragile tregua che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.
“Dopo giorni di paura, oggi Bukavu sembra tirare un sospiro di sollievo. Le scuole hanno riaperto, i negozi tornano a vendere merce e il traffico caotico è ripreso. La gente spera che il pericolo di un attacco si allontani”, scrive padre Giovanni Querzani dal cuore del conflitto. Il vertice di Dar es Salaam ha prodotto effetti tangibili, almeno per ora: l’avanzata dei ribelli dell’M23 sembra rallentata, e la presenza di 12mila soldati burundesi a sostegno dell’esercito congolese ha impedito la caduta di Bukavu.
Ma la tregua è fragile. “Nonostante il cessate il fuoco dichiarato dai ribelli, la guerra non si è fermata. Sul fronte di Kalehe gli scontri sono ripresi con violenza. Anche nel nord del paese, nel territorio di Lubero, i bombardamenti si sono intensificati”. A Kinshasa, intanto, la comunità internazionale si muove: una missione d’inchiesta sui crimini di guerra commessi dall’esercito ruandese è in arrivo, mentre cresce la pressione diplomatica per il ritiro delle truppe straniere dal Congo.
La Chiesa cattolica e le Chiese protestanti stanno cercando di mediare un “patto sociale” per la pace

La Chiesa sta giocando un ruolo chiave nella ricerca di una soluzione pacifica. “L’arcivescovo di Bukavu, monsignor Maroyi, ha inviato un appello disperato alle autorità: il popolo è stanco di soffrire, i leader africani devono agire per fermare la guerra“, riporta padre Querzani. Ma la situazione è complessa: se da un lato la Chiesa cattolica e le Chiese protestanti stanno cercando di mediare un “patto sociale” per la pace, dall’altro il presidente congolese Félix Tshisekedi sembra chiudere le porte a questa iniziativa. “Dopo aver accolto con favore il nostro intervento, Tshisekedi ha fatto marcia indietro, probabilmente sotto la pressione del suo partito, l’Udps, che non vuole negoziati con i ribelli. L’Udps ha definito il nostro tentativo di mediazione una ‘iniziativa beffarda’, accusandoci di voler legittimare i terroristi dell’M23″. Un colpo durissimo per chi sperava in un dialogo inclusivo per riportare la pace.
Nel frattempo, i leader religiosi sono andati avanti. “Abbiamo incontrato Corneille Nangaa e i capi dell’M23 a Goma. Ci hanno assicurato di non voler distruggere il paese, ma di cercare il dialogo. Certo, le loro parole vanno prese con cautela, ma il nostro obiettivo è farli sedere al tavolo della pace”. Dopo Goma, i rappresentanti della Chiesa hanno in programma incontri con l’Unione Europea e con figure chiave dell’opposizione congolese in esilio, segno che la diplomazia religiosa non si ferma.
Il vertice di Dar es Salaam sembra dare frutti, ma basterà?
Ma mentre si cerca la pace, la guerra non dà tregua. “Oggi è arrivata la notizia della caduta di Ihusi-Kalehe. I ribelli avanzano e ora manca solo Kavumu, dove si trova l’aeroporto, prima che Bukavu cada sotto il loro controllo. Le tensioni stanno risalendo, e la paura nella popolazione è palpabile”. A peggiorare il quadro, il tribunale africano di Arusha ha aperto un processo contro il Ruanda per le violazioni dei diritti umani commesse nel conflitto. “Il ministro della giustizia congolese sostiene di avere prove inconfutabili della responsabilità del Ruanda nelle atrocità. Ma basterà un processo a fermare il massacro?”, si chiede padre Querzani.
L’ombra della guerra continua a incombere. “Il popolo congolese vuole pace, ma le armi parlano più forte delle parole. La speranza è che il vertice di Dar es Salaam non rimanga solo sulla carta e che la diplomazia prevalga sulle armi. Ma quanto tempo abbiamo ancora prima che Bukavu segua il destino di Goma?”, conclude il missionario brisighellese.