Perché si sceglie la guerra? Perché il crociato Rinaldo, seppur innamorato della musulmana Armida, la abbandona per tornare a combattere contro i suoi? È questo l’interrogativo che ha guidato la regista Miriam Camerini nell’adattamento dell’opera lirica Armida realizzata dal compositore faentino Giuseppe Sarti. Lo spettacolo è andato in scena a inizio estate al teatro comunale di Gerusalemme, offrendo nuovi punti di vista con cui leggere passato e presente, nel contesto della guerra in Terra Santa. Una scelta politica, nel senso più ampio del termine, nel farsi promotrice di un teatro di pace che unisce popoli e culture lontane. E a essere alla base di queste riflessioni, è proprio un faentino. «Sarti fu un musicista di fama internazionale – spiega Camerini -, molto noto in Russia e la cui opera inaugurò il Palazzo d’Inverno (Ermitage) di San Pietroburgo nel 1786. Portarlo in Israele è stato come costruire un ponte tra epoche e mondi diversi».
L’Armida del faentino Giuseppe Sarti è stata portata al teatro comunale di Gerusalemme
La decisione di utilizzare il testo di Sarti, unisce con un filo rosso, che varca le barriere culturali, Russia a Israele. «In passato – spiega Camerini – tanti ebrei sono fuggiti dall’Unione sovietica rientrando in Israele e spesso erano di tradizione colta. Hanno così portato con sé anche il patrimonio culturale della lirica italiana, da qui la scelta di Sarti fatta dal Teatro di Gerusalemme». Per Camerini, il teatro è un mezzo per interrogarsi sul presente. «Non ci interessa dare risposte, ma porre domande. È questo il cuore del teatro ebraico: la capacità di creare straniamento, di guardare le cose dall’interno e dall’esterno. Questo approccio può essere un antidoto contro i fanatismi».
Polarizzazioni che provengono da tutte le parti: a seguito del recente conflitto, come riportato da lei stessa, molti degli enti, organizzazioni e associazioni con cui ha lavorato in passato non vogliono sentire parlare di ciò che propone in quanto cultura ebraica: musica, teatro, storia. Come successo per la guerra in Ucraina, quando in Italia si è vissuto un clima di russofobia, anche in ambito universitario, il paradosso di una cultura che dovrebbe aprire ponti e che invece costruisce muri.
Camerini, cresciuta in una famiglia legata allo studio della Torah, si è avvicinata al teatro fin da bambina grazie alla zia Mara Cantoni e al maestro Moni Ovadia. «Il loro teatro di parola mi ha ispirata. Raccontare storie è il modo in cui cerco di coniugare la mia passione per la regia e la tradizione ebraica». I suoi spettacoli, come il recente tour europeo di Caffè Odessa, esplorano temi universali senza offrire soluzioni preconfezionate, ma stimolando riflessioni.
Il bibliodramma portato a Faenza, “un modo per approcciarsi ai testi biblici e porsi domande”
La regista teatrale è stata ospite di Faenza in occasione della Giornata del dialogo ebraico-cristiano. Al Seminario cittadino ha portato due esperienze profonde e coinvolgenti: un “bibliodramma” sul personaggio di Giuseppe l’ebreo e una cena di Shabbat. La sua presenza ha rappresentato un’occasione preziosa per riflettere sulle radici comuni e sulle differenze tra le due tradizioni religiose, utilizzando, come per l’Armida di Sarti, il teatro come strumento di dialogo e incontro. «Anche l’anno scorso venni a Faenza – ricorda – e al termine di un’attività sono stata fino alle due di notte a parlare di cultura ebraica con tanti giovani del Seminario. Il tutto è nato in maniera davvero spontanea e con domande e riflessioni profonde». Da qui la decisione di tornare a Faenza con qualcosa di nuovo.
La tecnica del bibliodramma, spiega Camerini, nasce nel mondo protestante e si è rivelata una risorsa straordinaria per immergersi nei testi biblici in modo partecipativo e creativo. «Attraverso la drammatizzazione, i partecipanti interpretano i personaggi delle Scritture, diventandone la voce e il corpo, e interagendo gli uni con gli altri», racconta. Questo approccio permette di superare la semplice lettura e di diventare commentatori attivi del testo sacro, un’esperienza che rispecchia la tradizione ebraica dell’interpretazione. «In Seminario abbiamo avuto un gruppo eterogeneo, dai giovani seminaristi a persone più mature. La varietà delle prospettive ha arricchito il lavoro e ha permesso di esplorare il personaggio di Giuseppe in modo profondo», aggiunge. Camerini sottolinea che l’obiettivo del bibliodramma non è quello di fornire risposte, ma di porre domande. «Spesso nel mondo cattolico si conoscono poco i testi biblici. Il mio sogno è che tutti si avvicinino alla Bibbia e ai testi rabbinici senza timore, imparando a leggerli e a interpretarli».
Un altro momento significativo è stata la cena di Shabbat, preparata insieme ai seminaristi e ad alcuni volontari. «Cucinare e condividere il pasto è stata un’esperienza comunitaria importante. Lo Shabbat, nella tradizione ebraica, è un tempo dedicato al riposo e alla riflessione, ma anche alla celebrazione della vita in famiglia e in comunità», spiega. Questo momento ha offerto l’opportunità di vivere un frammento di spiritualità ebraica e di comprendere come rituali semplici possano favorire il dialogo. La presenza di Camerini a Faenza ha lasciato un’impronta significativa. Attraverso il bibliodramma, il teatro e la convivialità dello Shabbat, ha dimostrato come arte e spiritualità possano favorire la comprensione reciproca e il dialogo. «Gesù ebreo è sempre un nodo centrale per i cristiani», conclude, «ma sarebbe bello che l’interesse si allargasse all’ebraismo in sé, come tradizione ricca di spunti universali». Un augurio che risuona come una sfida e un invito a continuare il cammino del dialogo.
La testimonianza di una giovane della Fraternità: “Ecco come ho vissuto il bibliodramma”
Arianna, della Fraternità giovani di Faenza, ha avuto l’opportunità di prendere parte al bibliodramma e la successiva cena dello Shabbat. «Non capita spesso di poter vivere momenti simili, e non so quando ne avrò un’altra occasione – racconta -. È stata un’esperienza preziosa, sia per la sua unicità sia per la possibilità di approfondire l’ebraismo, religione che raramente incontro nella quotidianità». Durante il Bibliodramma, i partecipanti hanno esplorato il racconto di Giuseppe con un approccio interattivo e coinvolgente. Arianna è rimasta colpita dalla partecipazione numerosa e dall’atmosfera di apertura: «Eravamo in tanti, anche adulti che si sono messi in gioco con entusiasmo. Questo non succede spesso. La formula del Bibliodramma ti permette di vedere i personaggi biblici come persone reali, con emozioni e stati d’animo vicini ai nostri. È un ponte tra il racconto biblico e la vita di tutti i giorni».
Arianna ammette che all’inizio non è stato facile immergersi nella storia: «Questa esperienza mi ha arricchito, aiutandomi a comprendere meglio il valore umano e di fede del racconto». La giornata si è conclusa con la cena dello Shabbat, tra convivialità e spiritualità. «Sono rimasta affascinata dai riti: lo spezzare del pane, il lavaggio delle mani, le preghiere cantate. C’è una cura dietro ai gesti che scalda il cuore. I sapori erano diversi dai nostri, ma al contempo familiari, come a ricordarci che ebraismo e cristianesimo sono religioni sorelle».
Samuele Marchi