Scarpe comode, zaino leggero, curiosità di scoprire, luoghi lontani dal turismo di massa, in un viaggio che assume spesso toni introspettivi. Paesaggi mozzafiato, antiche pievi, borghi, conventi, piccole chiese incastonate nella roccia, rupi e boschi diventano non solo una pausa dallo stress quotidiano, ma un mezzo per riprendere contatto con sé stessi. È il turismo religioso, o slow, un trend che ha preso piede diversi anni fa, esploso dopo la pandemia. «C’è questo desiderio di spiritualità, di recupero di un tempo lento», spiega don Tiziano Zoli, incaricato della Conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna per turismo, sport e tempo libero.

Tra i motivi per mettersi in marcia, il benessere mentale ed emotivo e la natura

cammini1

Non è sempre la fede il motore che spinge ad alzarsi dal divano, ma la ricerca di un senso più profondo del vivere forse sì. «Conversioni lungo i nostri cammini al momento non ce ne sono state – precisa don Tiziano – ma un risveglio della spiritualità attraverso il creato o gli incontri che si fanno lungo la strada avvengono di certo. Magari c’è chi parte con un obiettivo materiale e torna a casa con un bagaglio che non si aspettava». Tra i motivi che spingono a mettersi in marcia, c’è la ricerca di un benessere mentale ed emotivo, la riscoperta del contatto con la natura e la curiosità di scoprire antichi borghi e territori poco battuti. «La nostra è la regione con più cammini in Italia – continua don Tiziano –. Una ventina in tutto. Siamo riusciti a metterli in rete, grazie a un accordo tra Conferenza episcopale, Apt e Regione Emilia Romagna. Ora siamo un punto di riferimento nazionale».

I venti cammini tra arte, cultura, ambiente, cibo e tradizioni

viadilinari

Tra le 20 vie che attraversano oltre 2000 chilometri di territorio non c’è solo la Francigena, che nel Medioevo univa Canterbury a Roma e ai porti della Puglia, ora candidata a patrimonio Unesco e senza dubbio la più battuta. Sono gettonate anche la Romea Germanica che collegava Strade, nella Bassa Sassonia, alla Città Eterna, e la Romea Strata, che portava i fedeli dal nord-est Europa alla capitale. Un centinaio circa i comuni che si trovano lungo le vie che collegano la regione a Roma e a importanti santuari, da Padova ad Assisi, passando per luoghi simbolo come l’eremo di Camaldoli e La Verna. Oggi questi percorsi sono sentieri mappati, mete non solo di turismo lento e religioso, ma vie trasversali che toccano arte, cultura, ambiente, cibo, storia e tradizioni. «Grazie ad una collaborazione con l’università Tor Vergata di Roma abbiamo i primi dati sui fruitori del nostro sito che ha recentemente sfiorato i 100mila utenti (www.camminiemiliaromagna.it) – aggiunge don Tiziano -. I principali sono giovani, di età compresa fra i 25 e i 44 anni. Quanti hanno camminato non lo possiamo dire, ma abbiamo riscontrato un interesse alto. Da segnalare il boom della via degli Dei, il cammino che va da Bologna e Firenze», mentre quello più lungo è l’Alta via dei parchi con 27 tappe, seguito da quello di sant’Antonio che attraversa la Diocesi di Faenza-Modigliana toccando tesori come Brisighella, Montepaolo, Modigliana, per arrivare in 15 tappe a La Verna.

I pellegrini, “sentinelle” del territorio

I pellegrini possono spesso contare sull’ospitalità di strutture religiose e non solo, che aprono le porte all’accoglienza e alla condivisione di uno stile di vita lontano dalla frenesia della città. «La comunità cristiana deve restare aperta e viva anche dove si assiste al fenomeno dello spopolamento – aggiunge don Tiziano -. Il cammino non lo fa il posto, ma la comunità che accoglie, perché è in primis una via di comunione. Oggi in località impensabili, troviamo francesi, olandesi, brasiliani, nonostante le difficoltà siano tutt’ora tante. Molti dei nostri beni culturali ecclesiali, infatti, sono difficili da raggiungere, oppure sono chiusi per mancanza di personale. Dal punto di vista dell’incoming abbiamo ancora parecchia strada da fare». I pellegrini hanno dimostrato, nel tempo, di essere preziose sentinelle lungo il territorio. «Oltre a garantire una presenza nei territori meno abitati – conclude don Tiziano – assicurano anche la loro supervisione e monitoraggio. L’anno scorso poi, sono stati una risorsa indispensabile. Grazie ai turisti siamo riusciti a mappare le frane dovute all’alluvione».

Barbara Fichera