Le monache domenicane dell’Ara Crucis di Faenza, ricorderanno anche quest’anno il loro fondatore. L’appuntamento è per giovedì 8 agosto con una celebrazione eucaristica presieduta da monsignor Michele Morandi, vicario generale e moderatore presso la curia diocesana. Il monastero è nato a metà degli anni ‘50 a opera del domenicano, padre Domenico Galluzzi (1906-1992) con la collaborazione di tre sorelle (Matilde, Laura ed Eloisa Gentile) che ne furono le prime monache. La sua vocazione delle monache dell’Ara Crucis è quella di pregare per i sacerdoti, “portarli” non solo nella preghiera ma nel silenzio di una vita offerta a Dio.

Spunti di riflessione sulla vita di San Domenico

Pubblichiamo di seguito alcuni spunti di riflessione sulla vita di san Domenico, tratti da un’omelia del vescovo di Reggio Emilia, monsignor Giacomo Morandi, tenutasi il 4 agosto del 2023.

Docili (e non protagonisti)

Il rientro in Spagna da un viaggio rocambolesco e politicamente fallimentare in Danimarca è per san Domenico e per il suo vescovo Diego l’occasione per scoprire la situazione drammatica in cui tante comunità cristiane dell’Europa erano precipitate. Matura così in loro il desiderio di dedicarsi all’evangelizzazione della lontana Dacia, ma papa Innocenzo III li dirotta risolutamente in Provenza, divenuta ormai terra di conquista di movimenti ereticali. San Domenico accetta che il suo sogno missionario sia orientato secondo priorità diverse dalle sue. Il suo progetto era buono e conforme al messaggio evangelico. Quello del Papa era forse migliore? Peggiore? Non importa: era altrettanto valido e allora avanti, rinunciando ai comparativi. Quello che importa è non essere protagonisti. Unico protagonista dell’annuncio è lo Spirito santo.

Trasparenti (e non opachi)

È difficile posporre i propri piani, morire ai propri progetti, passare attraverso la Pasqua.
George Bernanos commenta così questo passaggio della vita di Domenico: «Ogni uomo predestinato, almeno una volta in vita sua, ha creduto di andare a fondo, di toccare il fondo. L’illusione che tutto viene a mancarci in una volta, questo sentimento di completo abbandono, è il segno divino che al contrario tutto comincia. È verosimile che il vecchio vescovo e il suo giovane compagno abbiano conosciuto sulla strada del ritorno qualche cosa di questa amarezza».
Si tratta di un’amarezza purificatrice, che non impedisce a Domenico di continuare a coltivare in profondità lo slancio per l’annuncio della Parola. Quando Filippo domanda a Gesù: «Mostraci il Padre e ci basta», Gesù risponde: «Filippo, chi vede me vede il Padre». A volte, invece, chi vede noi, vede soltanto… noi.
Spesso proclamiamo di voler mettere al centro Gesù Cristo, ma forse si tratta solo di spostarsi dal centro, perché Cristo al centro c’è già e noi rischiamo di occupare la scena, di nasconderlo, di fare da schermo. È una chiamata alla trasparenza: la predicazione chiede e dona la conformità della vita, la cristoformità: «avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù». Domenico si è lasciato attraversare.

Conche (e non canali)

Commentando il Cantico dei cantici san Bernardo di Chiaravalle precisa: «Se vuoi essere sapiente cerca di essere conca e non canale. Esso trasmette l’acqua appena la riceve; la conca, invece, solo quando è ricolma. Oggi nella Chiesa ci sono poche conche e molti canali, persone che sono animate da una tale carità e da un tale zelo che vogliono dare ciò che non hanno, sempre pronti a parlare e lenti ad ascoltare, che vogliono dirigere gli altri senza saper governare se stessi».
In Domenico, grande evangelizzatore, c’era una pienezza, una sovrabbondanza di relazioni e di amicizia che non poteva non diffondersi, non tracimare, non espandersi.
Un’immagine dei Promessi sposi descrive efficacemente il portatore della Parola. Manzoni, narrando la gran fatica che faceva Perpetua a non parlare del fallito tentativo di Renzo e Lucia di sposarsi a sorpresa davanti a Don Abbondio, spiega che quel gran segreto stava nel cuore della povera donna come il vino nuovo in una botte vecchia e mal cerchiata, che se uno fosse passato di lì avrebbe potuto assaggiare quel vino che ribolliva e trapelava tra doga e doga.
Domenico ci trasmetta la passione d’amore che lo consumerà fino all’esaurimento delle forze, quel suo pianto accorato: «Che ne sarà dei peccatori?» Abbiamo bisogno che il nostro studio, l’approfondimento della Parola, la teologia siano finalizzati a comunicare l’esperienza di salvezza scoccata nell’incontro con Cristo. Abbiamo bisogno di un servizio integrale alla verità, che ha come conseguenza il dono inestimabile della libertà.
Abbiamo bisogno di diventare conche felici e traboccanti.