Un giallo romagnolo, carico di verve e colpi di scena con un mix di umorismo e suggestioni che solo la penna esperta dello scrittore casolano Cristiano Cavina è capace di suscitare. L’Ananas no, edito da Bompiani, appena uscito in libreria è già in ristampa e avrà un sequel, come tutti i gialli che si rispettino. Cavina sarà venerdì 5 luglio alle 17.30 alla Biblioteca Manfrediana per la presentazione. Il romanzo, spassosissimo e ricco di colpi di scena, si legge tutto d’un fiato. Protagonista è Manolo Moretti, pizzaiolo cinquantenne, ex sovrintendente della polizia penitenziaria che lavora al Gradisca di Galatea a Mare, località di fantasia, situata idealmente tra Cervia, Milano Marittima e Savio. Moretti finisce, suo malgrado, a lavorare per Vittor Malpezzi, ex pregiudicato. A fare da sfondo all’omicidio sul quale Moretti si troverà ad indagare, una fine estate dal sapore tutto romagnolo, con personaggi, schermaglie e battute mutuate dal dialetto che regalano al romanzo freschezza, verve e ironia. Per Cavina, che ha all’attivo una quindicina di libri (dieci con Marcos y Marcos, uno con Feltrinelli e uno per Only Planet), un Premio Tondelli e una selezione per lo Strega, è ora al terzo libro con Bompiani.

Cavina, lei è stato molto prolifico. Il giorno dell’alluvione è uscito Il ragazzo sbagliato poi la piena del Lamone, che ha investito anche la sua abitazione. Adesso un nuovo romanzo, come ci è riuscito?

Dopo quello che era successo, avendo già scritto tanto dell’alluvione, c’era bisogno di un libro ironico, piacevole e da compagnia. Non avrei mai potuto scrivere qualcosa di triste, forse è stata anche una reazione. Volevo un romanzo divertente, ridere delle sventure è uno dei tratti caratteristici dei romagnoli, poi l’uso dell’italiano “dialettizzato” ha fatto il resto. Non sono abituato a fare un piano tematico. È venuto tutto molto naturalmente.

È il libro che vuole raccontarsi e non l’autore che scrive?

Sì, la scrittura prende un certo ritmo, ti passa attraverso, è un processo velocissimo, come guidare una macchina di formula uno, che sfreccia a 400 km all’ora. Le decisioni vanno prese velocemente, siamo noi che andiamo dietro alle storie che raccontiamo.

Si è trovato a suo agio in questa nuova veste?

In realtà così nuova non è. Leggo gialli, noir e romanzi di fantascienza da una vita, sono appassionato del genere, ho letto e studiato, ci faccio delle lezioni. Ho già scritto altri gialli, ma li ho tenuti per me, questo è il primo ad essere pubblicato.
Galatea a Mare non esiste con questo nome, ma si possono riconoscere le località della riviera.
Avrei potuto ambientare tranquillamente il romanzo a Cervia o Cesenatico, ma per non incappare in ventimila messaggi di protesta alla minima imprecisione, ho inventato una località che si trova tra Cervia, Milano Marittima e Lido di Savio. Ci sono le saline, il petrolchimico, la città vecchia con la piazza quadrata, i rotondoni, il lungomare con gli stabilimenti nuovi dai nomi strani e quelli vecchi con i nomi propri. Mi sono preso qualche libertà con i pescherecci e il circolo dei pescatori. Di Galatea a Mare ho anche disegnato la mappa, verificando che i nomi delle vie fossero plausibili.

I lettori erano abituati a paesaggi collinari.

Manolo è di Purocielo, altro nome di fantasia, che ricorda però molto Casola Valsenio, dove sono nato, ma è un po’ spostato verso Marradi. Anche qui mi sono preso qualche licenza, includendo le foreste casentinesi.

Lei per quasi metà della sua vita ha fatto il pizzaiolo. Quanto c’è di autobiografico nel personaggio di Manolo Moretti?

Ho fatto il piazzaiolo a tempo pieno per dieci anni, e per i dieci successivi ho alternato pala, impasto e forno alla presentazione dei libri. È ovvio che i riferimenti autobiografici ci sono. C’è molto anche delle persone con cui ho lavorato. Ad esempio, da mio zio c’era un altro piazzaiolo, Filippo, un ex sovrintendente della polizia penitenziaria in pensione, con la passione per le pizze. Manolo assomiglia un po’ anche a me, per il suo sguardo sulle cose e per l’insofferenza verso i clienti con comande che sembrano equazioni differenziali. Oggi pizzerie chic propongono quattro pizze in croce, senza possibilità di deroga. Quella del romanzo è invece una pizzeria popolare con un menù chilometrico che i clienti trovano sempre il modo di ‘sbaraccare’.

Compresa la pizza all’ananas?

Quella è una licenza. Però di richieste di pizze improbabili me ne sono capitate tante.

Ad esempio?

C’è sempre qualcosa che ti fa venire il nervoso, ad esempio i würstel sullo squacquerone. Però è bello anche arrabbiarsi, perdere la pazienza, lamentarsi. La pizza con l’ananas però esiste, i cultori dicono che ci vada messo fresco e non quello dei barattoli, ma sono sicuro che arriverà anche la pizza alla papaia o all’avocado.

Poi ci sono i personaggi moderni, il pakistano, la giovane cameriera ticktocker.

L’aiutante pakistano vestito in modo impeccabile l’ho avuto davvero, mentre Vittor è ispirato al gestore di una pizzeria in cui ho lavorato, un bel tipo.

E gli over 50 in cui tanti possono riconoscersi.

Noi cinquantenni siamo un po’ spaesati in un mondo che è cambiato. Io mi sento giovane dentro, ma per mio figlio diciassettenne sono vecchissimo, i giovani ci vedono come esseri preistorici.

Ormai è ufficiale, il sequel ci sarà. Ha già qualcosa in mente?

Certo, anche il titolo.

Barbara Fichera