Il cinema d’autrice a Faenza ha i disegni e colori di Simona Cornacchia. Animatrice, illustratrice e regista, nata nel 1975, si è diplomata nel 1997 alla Scuola Nazionale di Cinema di Roma. Ha poi collaborato come animatrice in produzioni di lungometraggi e serie televisive, in ultimo Arf, la sua prima opera da regista, proiettata all’arena Borghesi, che quest’anno ha voluto dare spazio – nella propria rassegna – al cinema al femminile.

La prima regia di Cornacchia è Arf, favola contro la guerra

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Cornacchia, come nasce la passione per il cinema d’animazione?

Tutto è partito con l’amore per il fumetto e le arte visive. Ricordo che al liceo Artistico mi capitava, per memorizzare le materie su cui ero meno portata, di trasformarle in personaggi e fumetti. Prendere la matita e metterli su carta era per me un gesto istintivo.

E dal disegno sei passata al cinema.

Dopo la maturità ho fatto il concorso per il Centro sperimentale di cinematografia di Roma. È lì che è iniziata la mia curiosità verso il settore dell’animazione, in particolare mi affascinava quello che emergeva dai making off che raccontavano il dietro le quinte. C’era tutto un mondo che metteva assieme disegno, scultura, scenografia per creare scenari unici. D’istinto ho capito che quella poteva essere la mia strada.

E come ci sei entrata?

Non è stato subito facile, non avevo nessun contatto, ma poi le cose si sono infilate da sole. Erano anni in cui erano tornati in auge i lungometraggi. Un momento di svolta è stata la collaborazione a La gabbianella e il gatto di Enzo d’Alò. Ho iniziato come animatrice, quando si facevano ancora tutti i disegni su carta, anche se già in quegli anni si sperimentava il digitale. E da lì ho provato tanti ruoli in questo settore, dallo storyboard al character design…

Fino alla regia

Sì. Pochi mesi fa è uscito Arf, il mio primo lungometraggio. Una grande fatica ma anche tanta soddisfazione. Ho lavorato a tutte le fasi del progetto, dall’ideazione dei personaggi alle scenografie. Il tutto è stato realizzato con un team di quindici persone: sembrano tante, ma è davvero un gruppo ridotto per prodotti d’animazione di questo tipo. Mi sono appoggiata allo studio Panebarco di Ravenna.

Di cosa tratta il film?

Prende spunto da un libro di Anna Russo. La tematica è molto attuale: la guerra e i conflitti. Raccontati però in un’ottica fiabesca, a misura di bambino. È la storia di un bambino di buon cuore, che non ha pregiudizi perché allevato dagli animali. E quando arriva la guerra, il suo sguardo riesce a leggere la realtà mettendo a nudo le sue incongruenze, in maniera buffa e simpatica. In realtà non sono molti i film per bambini che affrontano in maniera così diretta l’argomento, per cui non avevo molti modelli di riferimento. All’inizio della produzione, nel 2018, tra l’altro, non pensavamo che il contesto storico potesse riportare così d’attualità il tema della guerra. Questo ha creato un po’ di difficoltà nella promozione e nella lettura del film, che poteva essere controversa.

Raccontare questi temi ai più piccoli non deve essere facile.

Il linguaggio è quello della fiaba. Si potrebbe dire che Arf ha un’ambientazione storica che richiama la seconda guerra mondiale, le dittature… anche se cerca di distanziarsi dal contesto reale. Ed essendo un film per bambini, l’allegria riesce sempre a prevalere sulle atmosfere più dure e malinconiche, comunque presenti. Non c’è un messaggio preciso che volevamo dare: l’importante era fare pensare. E ai bambini questo è arrivato: dopo le proiezioni alcuni ci hanno chiesto: perché i soldati che combattono hanno gli occhi vuoti?

Qual è lo stato di salute dell’animazione in Italia?

È sempre un sali e scendi. C’è stato un tempo in cui tutto veniva esternalizzato in Asia per abbassare i costi di produzione. Ora siamo di fronte a una rivoluzione tecnologica in atto, in cui gioca un ruolo fondamentale l’IA. C’è fermento. Certo l’animazione in Italia viene vista ancora come un settore di nicchia, rivolta solo a un pubblico di bambini. In Europa non è così, e anche il fumetto in Italia è riuscito a emanciparsi. Oggi però ci sono più possibilità, e anche per le donne nel settore cinematografico vedo sempre più spazi rispetto al passato. Anche per quanto riguarda le presenze femminili, personalmente non ho mai riscontrato problemi a inserirmi in questo mondo, ma sicuramente negli ultimi anni c’è stata più apertura.

Il futuro?

Ho dei progetti in mente. Al di là del tema, vorrei sempre fare qualcosa che riesca a far pensare lo spettatore, trasmettendo emozioni.

Samuele Marchi