L’Italia non riesce proprio a essere un paese per giovani. Nonostante un tasso di occupazione da record, infatti, nel nostro Paese la disoccupazione giovanile ha toccato il 21%, una delle peggiori performance dell’area Ocse. L’Italia è inoltre il paese europeo dove risiedono più Neet ovvero ragazzi che non studiano e non lavorano e i problemi, per i più giovani, non terminano con l’accesso al mondo del lavoro. Secondo una recente indagine del Consiglio Nazionale dei Giovani, in collaborazione con Eures, oltre la metà degli under 35 ha sperimentato lavoro nero o sottopagato e contratti precari, con una retribuzione annua che, nella maggioranza dei casi, è inferiore ai 10mila euro. La discontinuità lavorativa e la precarietà stanno esponendo, sempre di più, i giovani a disagio e povertà. Per approfondire queste tematiche abbiamo incontrato Sara Magazzino, del circolo Arci Prometeo di Faenza che ha recentemente organizzato un ciclo di incontri, aperti a lavoratori under 35, proprio sulla tematica del lavoro giovanile.
Intervista a Sara Magazzino (circolo Arci Prometeo)
Magazzino, come è nato questo ciclo di incontri?
Sono nati spontaneamente, dall’esperienza di persone che si sono trovate o si trovano tutt’ora a fare i conti con un lavoro precario, nonostante si siano laureate o addirittura abbiano conseguito un dottorato. Questo ciclo di incontri nasce dalla delusione di alcuni giovani e dal confronto, decisamente impari, con altri che vivono e lavorano all’estero. Inoltre crediamo che di lavoro giovanile si parli decisamente troppo poco e ci sia invece la necessità di confrontarsi. Abbiamo rivolto questi incontri a lavoratori under 35, con la consapevolezza che a 35 anni non si dovrebbe più essere considerati alle prime armi, ma spesso in Italia invece è così.
Quali temi avete affrontato?
Abbiamo ribaltato il luogo comune che vuole i giovani pigri e senza voglia di lavorare, aprendo una riflessione sulle grandi difficoltà che affrontano per trovare lavoro, mantenerlo e ottenere un’indipendenza economica, con stipendi inadeguati al costo della vita. Il primo incontro è stato incentrato sul presente, ovvero su come i giovani vivono e si rapportano con il lavoro. Nel secondo abbiamo indagato sul passato, ossia sulla differenza tra il mondo del lavoro di qualche anno fa e quello di oggi, con un approfondimento sui cambiamenti e sullo scontro generazionale, di fatto in atto tra la generazione dei nostri genitori e la nostra. Poi ci siamo confrontati sull’articolo 1 della nostra Costituzione, interrogandoci sulla sua attualità e applicabilità nel mondo di oggi e chiedendoci che legame ci sia tra lavoro, libertà e democrazia. Nel corso del terzo incontro invece abbiamo parlato delle nostre aspettative e aspirazioni per quanto riguarda la società e il mercato del lavoro del futuro. Nel corso del quarto ed ultimo incontro, con data ancora da definire, sicuramente faremo una sintesi dei primi tre meeting, con l’obiettivo di produrre qualcosa di condiviso in vista del Primo Maggio.
Sono emersi spunti interessanti o soluzioni per risolvere le criticità del lavoro giovanile?
Spesso ci siamo trovati di fronte a tante idee, anche discordanti tra loro però sono stati incontri importanti per fare fronte comune e questo, a mio avviso, è proprio ciò che manca. C’è bisogno di fare comunità anche per essere più propositivi, di rendersi conto che non si è da soli di fronte alle difficoltà ma ci sono tante persone che sperimentano purtroppo gli stessi ostacoli e disagi. Ciò che è emerso è che i giovani si sentono abbandonati a sé stessi, credono manchi progettualità, non si sentono supportati dai Centri per l’Impiego e a volte i sindacati sono percepiti come enti molto distanti da loro. I giovani presenti hanno detto con chiarezza che servono più regolamentazione e maggiori tutele per quanto riguarda i tirocini, sempre più associati a fenomeni di sfruttamento e retribuzione umiliante. Inoltre è emerso il desiderio di un’istruzione universitaria di qualità, che costituisca un arricchimento culturale ma sia anche realmente una porta d’accesso verso il mondo del lavoro. Si guarda inoltre con molto interesse alle novità che si stanno diffondendo in ambito europeo come la settimana lavorativa corta, già sperimentata in diversi paesi dove si è visto che riducendo l’orario lavorativo la produttività rimane stabile o addirittura aumenta.
Samuele Bondi