Il 23 marzo scorso a Mezzano (Ravenna) durante una partita di calcio che vedeva scendere in campo giovani calciatori di 11 anni, il padre di un ragazzino della squadra di casa ha colpito con una testata l’allenatore del Mezzano e ha cercato anche di prenderlo a calci. A scatenare la rabbia del genitore la decisione del mister di sostituire il figlio, nonostante nella categoria “Pulcini” i cambi siano “volanti” e dunque il ragazzino sarebbe potuto tornare in campo, nel corso della partita. Mattia Gallamini, giovane allenatore di 22 anni, si è recato al pronto soccorso di Ravenna, per farsi medicare, riportando un dito fratturato e un trauma cranico non contusivo e ha poi deciso di sporgere denuncia, di fronte alla gravità dell’episodio. La vicenda si è conclusa con l’emissione di un provvedimento di Daspo (divieto di accesso a manifestazioni sportive) a carico del padre. Ad allarmare è il fatto che questo episodio non sia isolato: si moltiplicano le segnalazioni di aggressioni ad arbitri, episodi di violenza e insulti a sfondo razziale nel mondo del calcio dilettantistico, anche giovanile. Per approfondire queste tematiche abbiamo incontrato Marco Capucci, da tre anni responsabile del settore giovanile della Virtus Faenza e con oltre vent’anni di esperienza in società calcistiche del territorio.

Intervista a Marco Capucci, responsabile del settore giovanile Virtus Faenza

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Capucci, come si possono conciliare agonismo e competizione con valori importanti come l’educazione e il rispetto nei confronti di arbitro e avversari?

Per noi dirigenti il rispetto verso i compagni, l’arbitro, gli avversari e l’educazione sono fondamentali. Il nostro settore giovanile è tra i pochi in provincia a essere riconosciuto dalla Figc come Scuola Calcio Elite, quindi seguiamo precisi protocolli a livello federale, anche per quanto riguarda sportività e fair play. Gli allenatori, soprattutto dei più piccoli, seguono dei percorsi con l’obiettivo di dare ai giovani calciatori input importanti a livello di regole e comportamenti. Sono infatti proprio gli allenatori a essere figure fondamentali, perché a stretto contatto con i giovani calciatori e le loro famiglie, quindi preposti a far capire quanto sia importante mantenere un certo profilo. Inoltre durante questa stagione sportiva è presente una psicologa, all’interno di un programma qualificante previsto dalla Figc, che segue allenamenti e partite, interfacciandosi con gli allenatori. Una decina i sopralluoghi che ha effettuato durante l’anno, per valutare appunto comportamenti e atteggiamenti in campo. Per la Virtus è fondamentale riuscire a creare un ambiente sano, ottimale per la crescita e il divertimento dei ragazzi.

È cambiato, nel corso degli anni, il rapporto con i genitori?

Ho notato, rispetto a qualche anno fa, un’interferenza negativa sempre più forte dei genitori nella vita dei propri figli e a volte fanno fatica anche a rendersene conto. Capita sempre più spesso che i genitori si sostituiscano emotivamente ai figli ed è da loro che nascono le situazioni di disagio. Magari per un ragazzino non è così importante essere sostituito, cominciare la partita in panchina o giocare in un ruolo piuttosto che in un altro ma lo è per i genitori che, sempre più spesso, faticano a gestire l’agonismo e la competizione. Così rischia di innescarsi una contrapposizione tra società sportiva e famiglia mentre dovrebbe esserci una sinergia, per fare insieme il bene dei ragazzi e insegnare a loro come stare all’interno di un gruppo e come competere insieme, a livello di squadra.

E invece come sono cambiati i giovani?

Il rapporto con loro è cambiato perché è il contesto sociale a essere diverso, con sempre più tecnologia e un uso sempre più massiccio dei social. C’è così meno spazio per una comunicazione diretta e questo si ripercuote anche all’interno di uno spogliatoio. Però devo dire che i ragazzi gestiscono la competizione in maniera più equilibrata rispetto ai genitori e, salvo casi isolati, sono disponibili a seguire le direttive dei propri allenatori.

I dati, a livello nazionale, indicano un calo netto ed allarmante dei giovani che praticano sport. Un fenomeno che riscontrate anche voi?

Sì, purtroppo stiamo notando che sempre meno giovani decidono di giocare a calcio. A mio avviso sta passando, a livello mediatico, il messaggio sbagliato che la sconfitta è un fallimento, un dramma sportivo. Non si vive più lo sport con il giusto equilibrio e i giovani vogliono tutto e subito, non c’è più la pazienza di allenarsi con impegno e costanza, per ottenere risultati. Così diventa faticoso gestire il passaggio dagli esordienti, dove tutti giocano una porzione di partita, ai giovanissimi dove la presenza in campo non è più assicurata ed è necessario impegnarsi maggiormente per scendere in campo.

Crisi talenti italiani nel calcio. “Mancano allenatori che sappiano aiutare i giovani nei passaggi più delicati. E le società dilettantistiche sono abbandonate a loro stesse”

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Si parla sempre più spesso di vivai italiani in crisi e la nazionale non si è qualificata ai mondiali, per ben due volte consecutive. Perché emergono sempre meno talenti italiani?

Nel calcio ci possono essere cicli ma, a mio avviso, i talenti in Italia ci sono sempre stati e ci sono tutt’ora mentre ciò che manca sono le capacità di saperli coltivare. Nei vivai di società importanti ci sono ragazzi talentuosi che non riescono ad arrivare ai massimi livelli perché mancano allenatori che sappiano gestire i passaggi più delicati, che sappiano accompagnare i giovani fino alla prima squadra.
Mancano figure che vogliano lavorare sul giocatore e non solo sulla squadra. I settori giovanili dovrebbero avere come primo obiettivo crescere giovani calciatori e formarli per la prima squadra mentre sempre più spesso c’è un’attenzione esasperata al risultato, con allenatori che hanno ambizioni di carriera e non sanno aspettare i giovani. Così, senza le figure giuste è sempre più difficile emergere, anche per i più talentuosi. Inoltre il sistema calcistico italiano è contraddistinto dalla totale assenza di mutualità, le società dilettantistiche sono abbandonate a sé stesse, non c’è solidarietà dal vertice del sistema calcio verso la base. Fare calcio a livello dilettantistico è diventata un’impresa. Occorrono riforme e investimenti per cambiare marcia e consentire alle società dilettantistiche di avere buone strutture ed allenatori adeguatamente formati, anche a livello giovanile.

Samuele Bondi