E’ uscito in questo ultimo periodo un film su Netflix, “La società della neve”, che ci rimanda a un fatto realmente accaduto pieno di dolore, ma anche di tanto coraggio e di voglia di vivere. È il 13 ottobre del 1972. Un aereo sta sorvolando le Ande, America del Sud. A bordo ci sono i rugbisti dell’Old Christians Club, una squadra fondata nel 1962 a Montevideo, Uruguay, che deve sfidare gli Old Boys Club a Santiago, nel Cile di Salvador Allende. L’aereo vola troppo basso e si schianta a oltre quattromila metri, perde ali e coda e alcune delle persone che si trovano a bordo. Quel che resta della fusoliera scivola per 725 metri fino a fermarsi su un ghiacciaio in territorio argentino: a ovest c’è il Cile e attorno la Cordigliera delle Ande.
A bordo ci sono 45 persone: dodici muoiono nell’impatto, altre cinque di freddo durante la prima notte a meno 30 gradi. Tra i sopravvissuti molti hanno meno di vent’anni, nessuno ha mai scalato una montagna, anzi la maggior parte di loro è gente di mare che non ha mai visto la neve.
Per bere trovano modo per sciogliere la neve. Per mangiare hanno poca roba: otto tavolette di cioccolata, cinque di torrone, alcune caramelle, pochi datteri e prugne secche, un pacchetto di cracker salati, due barattoli di vongole, uno di mandorle salate e tre vasetti di marmellata di pesche, mele e more. Impossibili i soccorsi, anche perché prima di cadere l’aereo si è allontanato di decine di chilometri dalla rotta prevista e per i soccorsi è come cercare un ago nel pagliaio.
Ma sono una squadra, hanno disciplina, si dividono i compiti, pensano positivo. Tra loro ci sono studenti di agronomia e due di medicina, il comando lo prende Marcelo Pérez, venticinquenne capitano della squadra, che si sente molto in colpa perché il viaggio è un’idea sua e che morirà il 29 ottobre quando una valanga colpisce la fusoliera e uccide otto di loro.
Dopo una settimana le scorte alimentari finiscono, il gruppo si arrangia con quello che trova: suole di scarpe, cotone dei sedili. C’è chi ha le gambe rotte, chi il naso, chi è così debilitato da arrivare a pesare 25 chili. Riescono a mettere in funzione una radio transistor solo per sentire che le ricerche sono state interrotte. Nessuno li cercherà, tocca cavarsela da soli: sanno che devono andare in cerca di aiuto.
Il 12 dicembre – due mesi dopo – partono in tre, Fernando Parrado, iscritto ad agraria, Roberto Canessa, studente di medicina al secondo anno, Antonio Vizintin, 19 anni, di ruolo “pilone” della squadra, che ha due costole fratturate e una ferita al braccio. Parrado indossa tre jeans, quattro calzettoni avvolti in una busta di plastica, tre maglioni. Dopo due ore si imbattono nella coda dell’aereo trovando cibo, indumenti, una bottiglia di cognac e dei fumetti. Passano la notte a leggere le strisce. Il 20 dicembre il paesaggio nevoso cede il posto alle rocce. Canessa e Parrado notano tre mandriani a cavallo dall’altra parte del Rio Azufre, iniziano ad agitare le braccia e a urlare. I due in dieci giorni hanno attraversato il confine, percorso 61 chilometri, scalato una montagna di 4.650 metri. Quando gli elicotteri dell’aeronautica cilena raggiungono il luogo del disastro trovano i tredici sopravvissuti che alzano le braccia e sorridono. In 72 giorni hanno perso di media 40 chili.
Ci furono anche episodi meno eroici da raccontare, ma tutti hanno sempre confermato di essersi comportati con onore, anche di fronte alla morte.
La squadra esiste ancora. Quei sedici, tranne due, sono ancora vivi. Roberto Canessa è diventato un cardiologo pediatrico. “Mi occupo dei feti e dei neonati con cardiopatie congenite gravi perché molti vengono considerati condannati e già morti. Devo aiutarli perché sono cosciente di come si sentono, perché io sulla montagna sono stato uno di loro”.
Fernando Parrado utilizza la sua esperienza nelle Ande per assistere persone affette da traumi psicologici e aiutarle a superarli.
Antonio Vizintin, oggi tiene conferenze raccontando a più persone possibili la sua esperienza di sopravvivenza in condizioni estreme, in cui l’amicizia e il sostegno reciproco hanno avuto un ruolo decisivo.
Hanno giocato la loro difficile partita, qualcuno è arrivato a mèta.
Tiziano Conti