È stato da poco pubblicato il libro “Cronache dal fondale. L’alluvione romagnola vista da vicino”, edito da Clinamen. Il volume, presentato lo scorso 12 gennaio al Circolo Arci Prometeo di Faenza, tratta dell’alluvione dello scorso maggio, con particolare riferimento alla zona tra Faenza e Solarolo. Abbiamo incontrato l’autore, Paolo Missiroli, insegnante di Storia e Filosofia nelle scuole superiori e Filosofia Teoretica presso l’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia. È inoltre dottore di ricerca in Filosofia presso la Scuola Normale Superiore di Pisa e presso l’Université Paris Nanterre. Dopo dieci anni vissuti, per motivi lavorativi, tra Bologna, Pisa e Parigi, è tornato a vivere in Romagna a settembre 2022, per insegnare al liceo Torricelli-Ballardini di Faenza. Con una attenzione partecipe e diretta, questo libro tenta di restituire il senso della durezza della vita materiale di fronte ai grandi problemi ambientali che direttamente o indirettamente coinvolgono tutti.
Intervista a Paolo Missiroli
Missiroli, come è nato questo libro?
Nasce da un diario che, durante quei giorni difficili, tenevo sui social, descrivendo quello che succedeva intorno a me, tra Faenza e Solarolo dove sono cresciuto. Ho pensato immediatamente di scrivere e ho poi deciso di pubblicare il volume perché ho avuto la sensazione che, durante quella tragica esperienza, tutti condividessero le stesse paure, le stesse angosce, quasi le stesse sensazioni fisiche. Il fiume, descritto nel libro come un demone, ha investito la città e strappato le persone dalla propria vita privata, per condividere quest’esperienza, collettivamente. Però se un dolore lo provano in tanti può smettere di essere un problema e diventare un’opportunità.
Ci sono state tante pubblicazioni a tema alluvione. Da quale punto di vista ha quindi deciso di trattare questo tema?
Ciò che rende il mio libro originale credo proprio sia un mix di tre aspetti diversi. Innanzitutto, a maggio scorso, ero cronista per una radio bresciana, descrivendo cosa stava succedendo a Faenza e dintorni e quindi all’interno del volume si ritrova la cronaca di quei giorni intensi.
Poi c’è il mio background, i miei studi relativi alla crisi ecologica e ai suoi effetti. Per certi versi Faenza sembrava intoccabile, il cambiamento climatico sembrava qualcosa di lontano e invece le conseguenze della crisi ecologica, di cui da tempo mi occupo, sono arrivate direttamente sulla porta di casa. Inoltre a maggio scorso ero insegnante al liceo e avevo un contatto diretto con decine di studenti e studentesse, diversi con disturbi psicologici. Paradossalmente ho notato che l’alluvione ha attenuato in molti di loro il disagio e l’ansia perché stare in gruppo ed impegnarsi è stato terapeutico. Questo mi ha molto colpito e ha dimostrato quanto è potente la vita collettiva, la vita che non viene vissuta in maniera individualistica, come fossimo singoli atomi.
Cosa le è rimasto più impresso nella stesura di questo libro?
Questo libro mi ha ricordato che vita e felicità sono vere solo quando sono condivise, che gli esseri umani stanno bene solo quando sono insieme e questo troppo spesso viene dimenticato. Inoltre mi ha insegnato che l’identità di un luogo, di una città non è legata soltanto alle tradizioni, ai ricordi del passato. L’identità dovrebbe essere qualcosa di vivo e cosa c’è di più vivo di decine di giovani, spesso denigrati dagli adulti, che si aggregano e si impegnano per ripulire la propria città? Per questo credo che l’alluvione, nella sua drammaticità, possa diventare una sorta di mito fondativo per Faenza e la Romagna del futuro.
Samuele Bondi