Gli uomini hanno sempre organizzato la guerra. È arrivata l’ora di organizzare la pace e, per farlo, servono istituzioni predisposte a questo. Da qui la proposta, che fu già di don Oreste Benzi, a dare vita in Italia a un Ministero della Pace, che nel tessuto locale prenda la forma di assessorati e consulte per la pace. L’invito a realizzare istituzioni di questo tipo è arrivato a Faenza il 14 gennaio scorso durante l’incontro “Uniti per la pace” promosso dalla Papa Giovanni XXIII, Pastorale sociale della Diocesi di Faenza-Modigliana e altre associazioni e movimenti cattolici diocesani. «La pace non viene calata dall’alto – ha detto nel corso dell’incontro a Faventia Sales Laila Simoncelli, della Papa Giovanni XXIII, che si occupa da anni di questa campagna nazionale -. Si progetta, si costruisce e si deve vivere ogni giorno. Per questo è necessario dotarsi di istituzioni di pace. La guerra si espande nel mondo come una pandemia e noi dobbiamo dotarci degli anticorpi per difenderci da essa. In tante aree del mondo la guerra è tornata perché si è data per scontata la pace, che va invece conquistata ogni giorno. E in futuro, vista la sempre maggiore scarsità di risorse (vedi la crisi energetica e climatica) anche noi non ne saremo immuni».

Un Ministero per la Pace, che va costruita ogni giorno

Alla fine della seconda guerra mondiale, ha sottolineato Simoncelli, dei passi in avanti verso la promozione della pace ci sono stati. «Hanno cessato di esistere i Ministeri della Guerra, da cui sono nati due diverse realtà: il Ministero dell’Interno e quello della Difesa; ma ne doveva nascere fin da subito un altro: il Ministero della Pace». Non si tratterebbe di un’istituzione astratta o edulcorata. Anzi, farebbe della concretezza una sua specificità. Il Ministero per la Pace potrebbe, in collaborazione con altri ministeri e gli altri organi istituiti presso amministrazioni statali, individuare azioni coordinate nazionali e finalmente dare il nome a una politica strutturale per la pace, con obiettivi, strumenti, programmi.

“In vista delle elezioni europee, è importante votare con consapevolezza”

Agendo in maniera trasversale e in collaborazione con gli altri ministeri, avrebbe competenza sulla promozione delle politiche per la pace, il disarmo bellico, la difesa civile nonviolenta, la prevenzione della violenza. «Solo costruendo giorno dopo giorno la pace – specifica Simoncelli – si genera un tessuto sociale positivo, che superi le forze disgreganti, i populismi e le crisi, in grado di reagire alle spinte violente che scaturiscono dai conflitti sociali ed economici e dalle tensioni delle periferie dell’emarginazione». In questo modo si coordinerebbero tra loro tutti gli operatori che lavorano in questo ambito: gli artigiani di pace avrebbero così modo di creare effettive architetture di pace. E tutti possiamo metterci in gioco in questo cammino.

«L’Unione Europea è stata un primo grande esempio storico di ricomposizione da un conflitto devastante – ha concluso – non dobbiamo dimenticarlo. Dobbiamo pretendere un cambio di paradigma dai nostri politici, e possiamo farlo anche tramite le prossime elezioni europee, a cui non dobbiamo arrivare con superficialità, ma approfondendo i contenuti delle proposte».

L’Operazione Colomba: dal 1992 3mila volontari in 25 conflitti nel mondo

Nel corso della giornata, hanno portato la propria esperienza anche Francesca Ciarallo, dell’Operazione Colomba – che opera a fianco dei civili coinvolti in contesti di guerra nel mondo – e Massimo Donati, autore del volume Difesa armata o difesa popolare nonviolenta? . “L’Operazione Comba – ha spiegato Ciarallo – nasce da un’idea della papa Giovanni XXIII di mettersi a fianco delle persone civili coinvolte nei contesti bellici. Si è sviluppata, in particolare, dal contesto della guerra dei Balcani, dove tanti giovani sono andati come obiettori di coscienza per ascoltare i bisogni della popolazione, elaborando così una risposta nonviolenta al conflitto”. Da allora Operazione Colomba ha coinvolto 3mila volontari in 25 conflitti nel mondo: dall’Ucraina alla Colombia, dalla Siria alla Palestina. “Un altro aspetto su cui lavoriamo – aggiunge – è la denuncia della violazione dei diritti umani nei conflitti. Per questo è importante portare la nostra testimonianze e comunicazione, spesso appannaggio solo dei media mainstream. L’obiettivo è dare un volto e un nome alle vittime delle guerre e raccontare quello che effettivamente succede alla popolazione civile”.

Massimo Donati ha invece presentato il proprio saggio scritto a partire dalla propria tesina di Maturità negli anni ’80, a partire da una riflessione storica su come possiamo difenderci nel caso di un conflitto? Le armi sono l’unica soluzione? L’autore ha presentato diversi episodi in cui sono state individuate altre vie e che possono indicarci soluzioni anche per il contesto presente.

Samuele Marchi