Piacevole commedia, meno comica e più romantica, storiella semplice ed elementare, giunge proprio a Natale. Per il vecchio maestro, ormai novantenne, si tratta del cinquantesimo film. Lo so, è facile tentazione per i critici denigratori, definirlo un film ripetitivo, monotono, senza slancio, che accarezza i suoi soliti temi triti e rivisti. Eppure a mio parere potrebbe sorprendere ancora una volta la zampata del vecchio leone. Nel gran circo della vita, un’occhiata benevola, tra satira e ironia, fa spuntare un timido, timidissimo, sorriso. Che sia burlesque? Per Woody Allen si presenta un’occasione, una opportunità (coupe de chance), di narrare con consueta grazia, un piccolo mondo di marionette, dell’upper class, in questo caso, di ricchissima alta borghesia, laconica e formale, galante e rituale.
Un colpo di fortuna
Fanny (Lou de Laage) e Jean (Melville Poupaud) sono una coppia apparentemente perfetta, da invidiare, a cui non manca nulla, finché “casualmente” non arriva Alan (Niels Schneider), aspirante scrittore. In questo contesto brillano i sentimenti dei due ragazzi con storie sfortunate alle spalle. Poteva mancare la mansarda parigina con il fatidico manoscritto, accuratamente nascosto, dell’autore principiante?
Lui e lei allacciano i fili di un amore di lui inconfessato, dopo anni veloci di un non troppo lontano liceo. Con il ritrovato amore tornano finalmente i sogni nel sonno del ragazzo. A dispetto del titolo, che nella vita dominano caso fortuito, fortuna sfacciata o meno, la sequenza delle varie maschere rincorre affari , arraffa denaro, trama sotterfugi, mormora alle spalle, nel torbido possesso di cose e persone.
Volutamente ridicolo si aggira il detective dell’agenzia investigativa, riconoscibile a distanza, grotteschi gli energumeni assoldati sotto i ponti di Parigi, arguta e risolutiva la suocera che un giorno dimentica “fortunatamente” i quotidiani medicinali, mentre patetici e pietosi risultano i cacciatori del vero “colpo” finale, citazione classica da manuale cinematografico.
Un inno alla vita
Vedo questo film di Woody Allen come un ennesimo atto d’amore per il cinema, la rivisitazione dei grandi del passato, un omaggio ad esempio, per l’intramontabile Alfred Hitchcock. Si pensi al topos del treno, dell’incognita del tunnel, del trenino, giocattolo infantile e tormento di adulti. L’avvincente colonna sonora, con il classico jazz di Herbie Handcock, Cantalupe Island, dà sostanza e respiro, mentre si coglie l’incanto della vellutata e, a un tempo gelida, fotografia del mostro sacro, Vittorio Storaro. La stagione autunnale offre ghiotta occasione per impasti cromatici suggestivi, in contrappunto a quadri interni formali, essenziali e geometrici. Al Maestro non interessa costruire con la trama, la crescente suspence, quanto svelare in anticipo meccanismi sottesi e condurre lo spettatore, nel divertissement un po’ noir, a superiore contemplazione. Lo credereste? Giunti al termine, mi sento di di affermare che questo film, al di là di evocazioni magiche, forze extraterrestri, biglietti di lotteria, probabilità calcolate, fiorisce come un inno alla vita. Non dimenticate a Parigi gli spaghetti alla bolognese conditi con foglie di basilico. Fresco. Parola di Woody Allen.
Dante Albonetti