Lo ricordo ancora benissimo. Era sabato 23 novembre 1963 e quando mio padre venne a svegliarmi per andare a scuola (facevo la quinta elementare) mi disse che avevano ucciso il presidente degli Stati Uniti. Era capitato circa alle otto di sera italiane del giorno prima, in casa non c’era la televisione, quindi le notizie viaggiavano ancora con una certa lentezza. È stato uno degli attentati più famosi e studiati della storia, anche perché tuttora è avvolto nel mistero. Il 22 novembre di 60 anni fa, nella centralissima piazza di Dallas, Texas, moriva per colpi di arma da fuoco, a soli 46 anni, il 35mo presidente degli Stati Uniti, John Fitzgerald Kennedy. Democratico, componente di un’influente famiglia della borghesia americana della East Coast, una laurea ad Harvard e una carriera politica che poteva essere inarrestabile.

Immagini impresse nella memoria di una generazione

John Kennedy fu assassinato mentre attraversava, con la sua berlina presidenziale, una piazza gremita di sostenitori entusiasti. Una folla di gente accalcata a ridosso delle staccionate, accorsa per applaudire la coppia più glamour del tempo: il Presidente e sua moglie, Jacqueline. Seduta al sua fianco, sui sedili posteriori della decapottabile (i servizi gli avevano sconsigliato una macchina scoperta, ma lui preferì così), stretta in un elegante tailleur rosa diventato iconico, Jackie è la prima a gettarsi sul marito per tentare di rianimarlo dopo che un primo sparo di fucile lo colpisce in testa. Le raccapriccianti immagini di quella morte violenta hanno marcato la memoria di intere generazioni. La televisione in Europa stava muovendo i primi passi e la notizia dell’attentato arrivò come un fulmine a ciel sereno, lasciando l’Occidente senza parole.

Un caso senza verità

Erano anche gli anni della guerra fredda e del confronto serrato con l’Unione Sovietica. Lee Harvey Oswald, personaggio ambiguo dalle mille sfaccettature, fu arrestato di lì a poco, con l’accusa di esser l’unico esecutore materiale dell’attentato. Fu questa la conclusione della famosa commissione d’inchiesta (1963-1964) voluta dal suo successore, Lyndon Johnson, guidata da Earl Warren, Presidente
della Corte Suprema. La Commissione che ebbe pochi elementi su cui lavorare visto che anche Harvey Oswald, fu a sua volta ucciso pochi giorni dopo. Da quel momento, fino ai giorni nostri, si sono inseguite le teorie più disparate sul mandante dell’attentato. A distanza di anni dopo inchieste, libri-verità, interviste, documentari, film kolossal e rivelazioni shock, la morte di JFK resta avvolta nel mistero, schiacciata fra tanti legittimi dubbi. Lo stesso Walter Veltroni, da sempre grande ammiratore e studioso dei Kennedy, è tornato a esprimersi sull’assassinio di JFK presentando il suo ultimo libro (“I fratelli che volevano cambiare il mondo. La storia di John e Bob Kennedy”, edito da Feltrinelli). “Un filmato – ha affermato ed è quello girato quasi casualmente da Abraham Zapruder – dimostra che non fu colpito solo da dietro ma anche da davanti (…) Chi è stato tra i petrolieri del Texas, la mafia, gli esuli cubani, la Cia? Non lo so e non lo sapremo mai. Lui aveva rotto le scatole a un sacco di gente”. Di Kennedy tutti, o quasi, ricordano la celebre frase del suo discorso d’insediamento, davanti al Campidoglio: “Non chiedete che cosa il vostro paese può fare per voi; chiedete che cosa potete fare voi per il vostro paese”. Un monito che resta di grande attualità: la “Nuova frontiera” – uno degli obbiettivi indicati spesso da Kennedy – si conquista con il coinvolgimento dei popoli su obiettivi da realizzare insieme.

Tiziano Conti