Nel prossimo numero di 2001 Romagna che uscirà a dicembre ci saranno alcune pagine dedicate a Agostino Bassi, un faentino che ha speso una buona fetta della sua vita dedicandosi con passione alla difesa e al miglioramento della situazione socioeconomica di tanti coltivatori diretti, e non solo, del nostro territorio. Di lui, scomparso nel 2006, a dire il vero ci si è un po’ dimenticati, ma dato che quest’anno ricorre il centenario della sua nascita, mi è sembrato opportuno parlarne. Lo farò in maniera più ampia su 2001 Romagna, mettendo in risalto le varie tappe della sua vivace e intensa attività in campo sociale, mentre qui su Il Piccolo riporto quanto ho ritrovato, fra i documenti che mi ha fornito la famiglia, su un lungo periodo di auto-prigionia vissuto da Agostino durante il passaggio del fronte e che ne ha poi determinato, come scrive lui stesso, lo stile di vita: l’incapacità a star fermo e, ancor peggio, chiuso a lungo in un ambiente, compresi ufficio e casa, e una grande fiducia nella vita.
Il rischio della deportazione in Germania e la fuga

Agostino, diplomatosi all’istituto tecnico commerciale di Faenza, nel 1942 era stato ammesso alla Scuola Allievi Ufficiali di Aeronautica a Caserta e, ancor prima di terminare il corso da pilota, nel febbraio del 1943 era stato trasferito all’aeroporto di Gela. Nei mesi successivi, in qualità di marconista, partecipò a varie missioni rischiando di brutto; durante un paio di queste, infatti, la contraerea alleata colpì gli aeroplani su cui si trovava e ci furono morti e feriti. Lui, miracolosamente, si salvò sempre! Trasferito all’aeroporto di Forlì, dopo l’armistizio dell’8 settembre, grazie a una fuga rocambolesca riuscì a uscire dalla caserma insieme ad altri avieri evitando così la deportazione in Germania. Rientrò a Faenza e fu nascosto dai suoi nella casa di via delle Vigne, ma nel febbraio del 1944, in seguito alle minacce di arresto e di deportazione fatte dai fascisti a suo padre Pietro, Agostino si consegnò ai Carabinieri. Fu nuovamente inquadrato nell’Aeronautica Militare della R.S.I. e spedito in una caserma vicino a Torino dove però non svolse mai servizio. Nell’agosto del 1944, insieme al commilitone Glauco Gavelli di Forlì, fuggì in borghese per tornarsene a casa. Fecero il viaggio in camion fino a Bologna, poi proseguirono (ingenuamente, scrive lui) a piedi lungo la via Emilia. All’altezza di Castel San Pietro furono fermati e fatti prigionieri dai tedeschi e vennero caricati, insieme a tanti altri, su un vagone merci diretto in Germania. Alla stazione di Verona, durante un terribile bombardamento alleato, i tedeschi abbandonarono il treno e loro due riuscirono a scappare salvandosi in un rifugio antiaereo pieno di civili.
Terminato il bombardamento si divisero e ognuno tentò la sorte da solo. Agostino, salito su un camion carico di masserizie e civili, arrivò a Padova dove incontrò casualmente la moglie e la figlia del suo ex comandante (il capitano pilota Bandini, originario di Marradi) che lo invitarono a casa loro. Agostino scoprirà soltanto alla felice conclusione della sua lunga avventura che il capitano Bandini, con cui aveva condiviso i rischi durante i voli dall’aeroporto di Gela, era il comandante generale dei partigiani bianchi (volontari per la libertà) del Veneto. Bandini gli prospettò tre possibilità: entrare nei partigiani, tentare il rientro a casa, nascondersi in attesa degli eventi. Considerato il fallimento dei tentativi fatti precedentemente e non avendo chiaro cosa sarebbe andato a fare con i partigiani, scelse di starsene nascosto. Bandini lo indirizzò nella bottega di un falegname, Antonio Piovesan, un settantenne anarchico rispettoso delle idee di tutti, che lo nascose nel sottobottega illuminato da una finestra con grata dal cortile interno. Di giorno l’accesso veniva ostruito con del legname, poi a bottega chiusa veniva riaperto. Tutti i giorni (fino alla liberazione di Padova 27/04/1945) il falegname gli portò il mangiare e il necessario per sopravvivere in quella cantina.
Lui, l’anarchico Antonio Piovesan, di tutt’altre idee politiche, dato che lo sapeva cattolico gli regalò la Bibbia. Per otto mesi rimase chiuso là sotto salvo qualche risalita la sera in negozio con la compagnia della Bibbia per fare due chiacchiere con il falegname. Un’immensa ammirazione e un’enorme gratitudine per il comandante Bandini e per l’anziano falegname hanno accompagnato Agostino per tutta la vita: due persone che senza dovergli nulla e per pura solidarietà umana l’avevano salvato e gli avevano insegnato ad avere fiducia nella vita.
Mario Gurioli
Sopra, Agostino Bassi in una foto del 1996. Nella foto di copertina Agostino (primo a destra) insieme ad alcuni commilitoni alla Scuola Allievi Ufficiali Aeronautica di Caserta