Prima, il 22 novembre scorso, l’intensa perturbazione con piogge, forti raffiche di vento con conseguenti allagamenti e criticità costiera. Due mesi dopo, gli allagamenti e i fenomeni di ingressione marina che hanno falcidiato i nostri lidi. Ora, questa ondata di maltempo con 36 ore di pioggia continua ed esondazioni di diversi fiumi. Tre eventi straordinari in sette mesi danno l’idea di una eccezionalità che si sta trasformando in normalità.
“E temo che ci dovremo abituare a questa situazione – osserva Claudio Miccoli, geologo ex responsabile della difesa della costa della Regione Emilia-Romagna e ora libero consulente – perché il meteo è cambiato, ci sono eventi atmosferici concentrati che arrivano dopo lunghi periodi di siccità: una situazione che ci trova poco preparati. Ma i segnali di questo cambiamento li abbiamo già dal settembre 2014, quando ci fu il primo evento particolare”.
Il riferimento di Miccoli è alla notte di sabato 20 di quel mese e anno: piogge di forte intensità colpirono la Valle del Santerno e ampie zone dell’Appennino romagnolo. Gli elevati valori di pioggia registrati in un ridotto intervallo di tempo determinarono la piena del Santerno e del Senio nel bacino del Reno, del Lamone e Montone e dei relativi affluenti nel Bacino dei fiumi romagnoli. Nel caso specifico dell’ondata del 2 maggio ha fatto impressione la durata delle piogge – 36 ore almeno – e la sua estensione territoriale. “E’ andato in crisi un intero sistema – dice perentorio Miccoli – segnatamente quello degli affluenti in destra del Reno, pur in presenza di una precipitazione abbondante sì ma non ai livelli massimi attribuibili dagli studi di statistica idrologica. E questo ci deve preoccupare: bastavano altri 6-12 ore di precipitazione e staremmo a parlare di un dramma. E’ saltato tutto il sistema dei fiumi ma una mano l’abbiamo data anche noi”.
Non solo questioni di manutenzione mancata o incompleta ma anche di decisioni politiche, secondo Miccoli. “Dove ci sono gli argini è chiaro che un fiume deve scorrere all’interno di quei confini che debbono essere sgombri da vegetazione alta – evidenzia – e dove ci sono gli accumuli delle tracimazioni l’acqua va tolta con idrovore. E questo è un compito che spetta ai consorzi di bonifica. La manutenzione è un fattore importante. L’altro elemento di valutazione riguarda l’organizzazione delle strutture. Fino a qualche anno fa si ragionava per bacini idrografici, ora invece la Regione Emilia-Romagna si muove per confini amministrativi, ma l’acqua conosce solo confini fisici. Si sono poi ridotte l’efficacia e l’efficienza dei servizi tecnici della Regione. Una delibera del 30 marzo scorso ha di fatto tolto dal campo i sorveglianti idraulici, cioè i veri sensori sui territori, coloro cioè che si occupano del controllo, dell’osservazione, della sorveglianza e della segnalazione dei problemi nei fiumi. Sembra che la rotta del Sillaro sia stata dovuta a una tana di animali: ci fosse stato un sorvegliante che avesse visto ed avvisato, per assurdo si sarebbe potuti intervenire con una telonata all’interno e non ci sarebbe stata la rotta. Quel provvedimento è stato preso per la necessità di riorganizzare i servizi tecnici ma tale riorganizzazione è saltata al primo evento straordinario”.
L’altro problema, che secondo Miccoli deve trovare sollecita risposta è quello dei ritardi nella realizzazione o nel completamento delle casse di espansione. “Queste riuscirebbero ad attenuare gli effetti di piene e piogge abbondanti, anzi direi che risolverebbero proprio il problema. Sono fondamentali, quelle che ci sono bisogna completarle con grande velocità. Nella nostra provincia l’unica cassa vera è quella del Senio, altre sono lavori parziali. Nel Montone ad esempio si è intervenuto creando zone di espansione con piccole casse recuperate da cave, ma in questo momento quella veramente strategica è la cassa del Senio”.