Da una parte un intero popolo sotto shock e intere città rase al suolo. Dall’altra la voglia ricostruire senza perdere la speranza. E tanta solidarietà arrivata da tutto il mondo. Non si ferma l’emergenza tra le popolazioni colpite dal terremoto in Turchia e Siria. Per comprendere meglio la situazione, abbiamo intervistato Hande Inal Ravaioli, 43 anni, nata a Istanbul, ma che da più di vent’anni vive in Italia, e che ha ancora tanti famigliari in Turchia. Arrivata nel ’99 per completare gli studi universitari, ha trovato la propria vocazione nel settore sociale, lavorando in Caritas e Farsi Prossimo a Faenza nell’accoglienza dei richiedenti asilo e oggi è volontaria al Centro di ascolto di via d’Azzo Ubaldini.

Hande è in Italia dal 1999 ed è volontaria del Centro di Ascolto della Caritas di Faenza, “In Turchia siamo ancora in una piena fase emergenziale”

Hande, com’è la situazione nelle aree colpite dal sisma?

È ancora di estrema emergenza e tutto il popolo turco è sotto shock. Il terremoto ha interessato direttamente undici grandi città e 15 milioni di persone, in un territorio grande quasi come l’intera Germania. Il numero provvisorio di morti arriva a tutta la popolazione di Faenza, ma è destinato a salire, perché i dispersi non sono ancora conteggiati. È però tutta la Turchia a essere colpita nel profondo da questo dramma, che arriva dopo gli anni difficili della pandemia che ha avuto anche qua un impatto sanitario, sociale ed economico forte. La mia famiglia vive a Istanbul, dove per fortuna non si sono riscontrati danni, ma in questo momento tanti turchi per rispetto verso i propri connazionali si vergognano di mangiare, di stare in un posto caldo. Si vive uno strano senso di colpa.

A livello infrastrutturale non si era preparati a tutto questo?

La Turchia è un territorio sismico, ma da sempre la zona più interessata è quella di Istanbul. Prima di arrivare in Italia, nel 1999, ci fu proprio un terremoto. E nella storia sono tanti i terremoti che hanno colpito la città, come quello del 1766. L’area invece col confine siriano storicamente è stata meno interessata da questi fenomeni.

In questo contesto drammatico, fin da subito ci sono stati però segnali di speranza e solidarietà?

Il popolo turco sta dimostrando grande senso di solidarietà, attraverso anche le Ong nazionali che lì operano. C’è tanto ringraziamento verso coloro che da tutto il mondo stanno tendendo una mano d’aiuto. Dopo i primi giorni caotici, le forze governative adesso sono efficienti.
Ed è sempre una grande gioia quando qualcuno viene ritrovato vivo dalle macerie. Purtroppo il territorio colpito è di base molto fragile socialmente ed economicamente, minacciato dal terrorismo e con molte tensioni con i curdi e il confine siriano. Questo non aiuta.

Di cosa ha bisogno la popolazione?

Siamo ancora in piena fase emergenziale: ci sono città completamente distrutte. Serve cibo, acqua e un tetto per queste persone. Sono territori molto freddi d’inverno. I turchi che vivono all’estero si sono dati da fare: anche io in forma privata ho fatto rete per una raccolta fondi gestita dalla Fondazione Nef, un ente turco di certa affidabilità, a cui ho inviato le prime risorse raccolte nel faentino. Poi ci sono state campagne più strutturate, come quella fornita dalla Cei e dalla Caritas. C’è ancora tanto da fare: parliamo di zone dove è tutto da ricostruire e gli aiuti economici si prosciugano in poco tempo. Anche il tema sanitario va monitorato, con decine di migliaia di persone senza case e bagni chimici.

Cos’altro si può fare?

Oltre all’emergenza, mi piacerebbe già guardare al futuro. Tanti bambini sono rimasti orfani e andranno aiutati con borse di studio. Vorrei che si creassero gemellaggi tra famiglie italiane e bambini turchi in un’ottica di borse di studio. È da lì che dobbiamo ripartire.

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Terremoto in Turchia. Foto Agensir

Sul razzismo: “Il primo periodo in Italia non è stato facile”

Raccontaci della tua esperienza. Come sei arrivata in Italia?

Studiando a scuola. Può sembrare strano, ma a Istanbul a inizio Novecento c’erano già molte scuole che avevano la funzione di educare le minoranze linguistiche occidentali. Sono state mantenute anche con l’istituzione della Repubblica nel 1923 e sono state aperte anche a ragazze e ragazzi turchi. Così io ho fatto la scuola italiana, alle medie in una scuola femminile gestita dalle suore e alle superiori il liceo scientifico misto. In tutto questo periodo non sono mai stata in Italia, ma con l’università ho colto l’occasione.

Come è stato il primo periodo in Italia?

Nonostante fossi fin da subito molto integrata, la mia esperienza mi ha fatto toccare con mano la situazione fragile in cui vivono tante persone immigrate. Sia a livello burocratico sia di casi di razzismo. È da questa situazione che è nata la volontà di mettermi in servizio per gli altri. Tramite progetti dell’Unione Europea mi sono formata come mediatrice culturale e ho iniziato a lavorare nell’ambito dell’accoglienza dei richiedenti asilo. A 30 anni ho trovato la mia vocazione e a quell’età ho iniziato a lavorare con diverse associazioni di Bologna.

Lavoravi con le comunità turche?

I turchi in Italia non sono molti, di solito hanno come mete altri Paesi europei più ricchi come la Germania, dove invece c’è una grande comunità. Anche a Faenza non sono molti. Così ho lavorato principalmente con donne dell’Africa sub-sahariana.

Hai poi sposato un faentino e hai iniziato a lavorare in Caritas.

Quando mi sono trasferita a Faenza ho lavorato con Caritas e Farsi Prossimo all’accoglienza di richiedenti asilo. All’epoca erano circa 60 e ho seguito donne e bambini provenienti dal Mali. Poi nel 2021 ho operato nell’ambito della seconda accoglienza, in particolare con famiglie Rom. Adesso, anche se non me ne occupo più per lavoro, continuo però a essere volontaria una volta alla settimana al Centro di ascolto di Faenza. Sono in servizio all’accoglienza, il primo luogo d’incontro per le persone che hanno bisogno. E’ un servizio che mi gratifica molto.

“Sul tema donna e Islam ci sono molti stereotipi”

Sei musulmana. Come vivi la tua fede in Caritas?

Ho trovato un ambiente accogliente in cui vivere assieme un percorso di fede. Come religione condividiamo molto della Bibbia e del Vangelo, ed è bello vivere dei momenti di fede in Caritas. Partecipavo, per esempio, agli incontri di preghiera mattutina. Preciso poi che sono praticante solo da quando ho più di 30 anni, di mia decisione. Prima non mi consideravo una musulmana praticante. Sul tema donna e islam ci sono molti stereotipi. Sicuramente essere donna e musulmana, aiuta molto a creare empatia con le donne che si rivolgono al Centro di ascolto. A volte basta un semplice saluto islamico a quelle persone intimorite per far scattare una relazione di fiducia. Per quanto riguarda i figli, nati in Italia, sono consapevole che vivono in un contesto di più culture, per esempio quella romagnola e quella turca. Ecco, se vanno a mangiare dalla nonna romagnola, non impongo loro, per esempio, di non mangiare carne di maiale, come invece avviene in casa nostra. Poi quando cresceranno, avranno modo di essere più consapevoli dal punto di vista della fede, come è successo a me.

Samuele Marchi