Le opere sono importanti ma, a volte, non bastano a rendere tale un artista. La collettività, il gruppo, la corrente sono dimensioni imprescindibili per chi fa arte, che permettono di cadere nel solipsismo di una società individualista come la nostra. Così la pensa Gioele Melandri, 24 anni, studente di Conservazione e Restauro dei Beni culturali a Bologna, curatore, insieme a Luigi Presicce, della mostra Affascinante, che è stata inaugurata venerdì 17 marzo al Museo Varoli di Cotignola e che resterà visitabile fino al 14 maggio (venerdì 16.30-18.30, sabato, domenica e festivi 10-12 e 15.30-18.30. Info: 320 4364316).

Intervista a Gioele Melandri: “Nell’arte c’è un ritorno all’idea di homo faber”

Gioele, ci descriveresti la mostra?

Si tratta di una mostra collettiva di circa cinquanta espositori. Gli artisti si sono prestati a realizzare tutte opere ex novo appositamente per la mostra. Il titolo Affascinante è volutamente evocativo e non esplicativo e analizzerà il tema dell’autoritratto. Abbiamo chiesto di realizzare un autoritratto che non fosse una fotografia, ma un ritratto simbolico, intimo, una traduzione della percezione che gli artisti hanno di se stessi. Il risultato quindi non è un’esposizione di facce pulite e fisiognomicamente esatte. La dimensione collettiva è importante perché testimonia come certi artisti siano tali proprio perché operano in gruppo: ci sono artisti demiurghi, ma la profondità la fa il gruppo. Inoltre affrontiamo anche un altro grande tema, quello della cartapesta applicata all’arte contemporanea. Un tema interessante da sviluppare e con tante potenzialità: dalla sua dimensione evocativa alla storia della tecnica, alla questione socio-politica ed ecologica. Sarà una mostra irriverente e divertente, legata anche al teatro di figura in quanto ha alla base la cartapesta.

Le arti figurative hanno ancora molto da dire, anche se siamo immersi in un mondo digitale?

Per una questione mediatica di immagine si tende a pensare che l’arte vada esclusivamente in direzione del digitale. Io penso che la video-arte, quella legata alle intelligenze artificiali o al rapporto con la robotica e con la musica digitale siano potenzialmente fascinose, ma fino all’anno scorso si trascurava la presenza di artisti che sentono la necessità invece di rapportarsi con la materia in una maniera diretta. L’utilizzo della terra, della cartapesta, del colore, della materia e della gravitas non possono passare in secondo piano. C’è quindi il ritorno di un’idea di homo faber, di artista demiurgo che crea dalla sostanza e dalla materia informe. In questo senso l’esperienza della biennale di Venezia con i suoi lavori tessili, di ceramica, di cartapesta, ha posto l’accento proprio su questa dimensione. C’è un ritorno alla materia; la novità sta nel considerare che queste tecniche se usate da grandi artisti possono concorrere a potenziare il messaggio artistico. È la figurazione associata alla tecnica che spiega il contenuto. L’opera d’arte vincente è quella in cui tutte le tecniche, i materiali, la scelta dei testi concorrono ad emancipare il soggetto. Io personalmente mi sento molto più vicino a questo tipo di ricerca, legata al rapporto con la materia che unisce significato e tecnica. Una pittura è una grande pittura quando non potrebbe esser altro che pittura. Senza nulla togliere alle altre opere più legate al digitale.

Pensi che nel nostro territorio ci sia abbastanza spazio per la cultura? Si potrebbe fare di più?

Fortunatamente esistono gli spazi. Cotignola dimostra che anche nei posti molto piccoli si possono fare cose molto interessanti e si possono fare molto bene. Le opportunità non mancano; a volte necessiterebbero di più valorizzazione e più fondi; è importante il dialogo tra enti pubblici e privati. A volte però noto soprattutto nei giovani operatori una tendenza alla pigrizia; bisogna anche saper lottare per le proprie idee, per difenderle e non farle distruggere dagli altri. Bisogna avere strumenti dialettici e argomentativi per difendere i propri progetti. A volte il ruolo del curatore è quello di entusiasmare, non solo di proporre. Credo poi che sia giusto che ci sia spazio per tutti, anche per artisti emergenti o che non hanno ancora una carriera. C’è bisogno di luoghi in cui condividere la ricerca artistica.

Gli artisti della mostra Affascinante

Thomas Berra
Michele Bubacco
Martina Bruni
Elisa Filomena
Gioacchino Pontrelli
Jimmy Milani
Valeria Carrieri
Davide Serpetti e Piotr Hanzelewicz
Andreas Zampella
Agnese Guido
Anna Capolupo
Matteo Coluccia
Flaminia Veronesi
Francesco De Grandi
Francesco Lauretta
Matteo Nuti
Monica Mazzone
Stefano Giuri
Mattia Barbieri
Aronne Pleuteri
Marco Pace
Valentina Lupi
Dario Molinaro
Davide Mancini Zanchi
Edoardo Ciaralli
Carlos Casuso e Lorenzo Ermini
Jacopo Benassi
Play girls from Caracas
Francesco Arena
Giulia Querin
Rachele Tinkham
Francesco Carone
Serena Fineschi
Grazia Amelia Bellitta
Matthew Licht
Marco Musaró
Canemorto
Marta Sesana
Giuliano Sale
Silvia Argiolas
Andrea Contin
Vinicio Venturi
Roberto De Pinto
Antonio Fiorentino
Lorenzo D’Anteo
Alessandro Scarabello

Letizia Di Deco