Nato a Bagnacavallo nel 1933, Walter Fusari oggi ci vive con la moglie, Maria Napoletano, insegnante in pensione. Amici fraterni di don Pietro Magnanini, frequentano la parrocchia di Rossetta, amati da tutta la comunità. Walter è stato un dirigente di Enel e lì ha seguito la nascita del nucleare in Italia.

Intervista a Walter Fusari

Walter, che scuole hai frequentato e come sei entrato in questo settore così specifico?

Ho frequentato il liceo scientifico a Ravenna, poi Ingegneria a Bologna e due college in Inghilterra. Appena laureato avevo già in vista 30 posti di lavoro. Fra questi quello in Agip Nucleare. Con questa grande azienda ho avuto un colloquio di otto ore, dal quale sono uscito col contratto di assunzione. Allora usava così. Dall’Ufficio Progetti, dove lavoravo, un giorno mi dissero: “Noi abbiamo acquistato dagli inglesi un reattore nucleare, quindi gli inglesi in questo momento lavorano per noi. Abbiamo bisogno di una persona che li segua e ci tenga informati. Andrai in Inghilterra subito e tutti i costi saranno a carico nostro”.

Tu eri fidanzato con Maria?

Io ho ascoltato questa loro urgenza facendo presente però che avevo in progetto il matrimonio con Maria. Hanno compreso e si sono assunti le spese in albergo a lungo termine per entrambi. Così, molto velocemente, una mattina io e Maria ci siamo sposati e, salutati tutti i parenti, alle 15,15 siamo partiti. Dopo una settimana di sosta a Parigi, siamo arrivati in Inghilterra.

Che anno era? Come andò in Inghilterra?

Era il 1960 e in Inghilterra la situazione era ben peggiore che in Italia! Là molti alimenti erano razionati, nonostante la guerra fosse terminata da 15 anni. Quando noi – sorpresi per questo – abbiamo chiesto spiegazioni dicendo che da noi in Italia invece si stava bene, ci è stato risposto nettamente e con molta sincerità: “Perché noi i debiti li paghiamo”. In occasione della guerra certo gli Stati Uniti avevano venduto all’Inghilterra aerei e armi, ma volevano essere pagati. Noi italiani (i nemici) avevamo il piano Marshall e il piano ERP. Una volta arrivati, in Inghilterra abbiamo cercato una casa in affitto, ma per un anno abbiamo vissuto in albergo perché agli italiani non volevano affittare. Un motivo valido c’era: pochi anni prima molte miniere di carbone avevano chiuso e tanti italiani che vi lavoravano avevano pensato bene di tagliare la corda senza pagare quanto dovuto agli inglesi per gli affitti. Quindi non volevano darci casa. Dopo un anno di sofferenze e di pranzi inglesi, finalmente abbiamo avuto la casa.

In Inghilterra siamo rimasti due anni e mezzo. C’era da seguire tutta la fabbricazione dei pezzi. Poi sono ritornato in Italia, a Latina, dove erano in corso i montaggi dei componenti che avevo visto costruire in Inghilterra. Sono rimasto a Latina finché non è entrato in servizio l’impianto.

Impianto all’avanguardia?

Allora esistevano tre tipi di impianti nucleari: 1 Ad acqua a pressione, ad uranio arricchito, di tipo americano, progetto Westinghouse. 2 Ad acqua bollente, a uranio arricchito ABWR, su progetto americano della General Electric. 3 Magnox, di tipo inglese (che poi hanno adottato anche i francesi) a uranio naturale, raffreddato con l’anidride carbonica e moderato con la grafite. Per Latina Eni decise di rivolgersi agli inglesi. La centrale fu la prima in Italia, inaugurata nel maggio 1963. In Italia la SME, che aveva in corso la costruzione di un impianto, aveva scelto il modello americano della General Elecrtic ad acqua bollente. La Edison a sua volta stava costruendo un altro impianto nucleare su modello americano Westinghouse. Quindi in Italia avevamo tutta la panoramica esistente allora. Con questa diversità di impianti non ci potevamo certo scambiare neanche le idee fra di noi.

Quanto ha inciso l’incidente di Cernobyl del 1986 sulla chiusura del nucleare in Italia

Nel 1987 noi abbiamo, sull’onda di Cernobyl, deciso con un referendum la chiusura delle nostre centrali. In realtà i cittadini italiani non erano per nulla competenti in materia e in verità non erano, da sempre, mai stati coinvolti né informati sulle scelte energetiche. È vero che qualche piccolo incidente c’era stato anche prima ma certo su Cernobyl si è fatto leva.

A determinare il disastro di Cernobyl hanno giocato la superficialità, l’incompetenza e l’improvvisazione in un terreno, come quello nucleare, certo da trattare con molta competenza e molta attenzione.

Ci sono sistemi di controllo differenziati, dettagliati e precisi (attraverso l’inserimento automatico di elementi di boro, materiale che assorbe neutroni sottraendoli alla reazione) per bloccare gli impianti, evitare incidenti e contenere i pericoli se si superano limiti di temperatura. Quando avviene una reazione nucleare un neutrone colpisce un atomo di uranio e in questo processo, nel disintegrarsi, quello che viene fuori è sicuramente una certa quantità di energia (che è quello che si cerca di ottenere estraendola con mezzi di scambio), ma anche prodotti di fissione. Vengono fuori tanti atomi di iodio, di cesio… e ognuno è radioattivo. Dopo un incidente grave (come quello di Cernobyl) ci si trova con una grande quantità di questi elementi radioattivi come lo iodio, non controllabili, che in caso di non funzionalità da contenimento si diffondono in giro per il mondo. Elementi radioattivi che seguono le correnti del globo e che man mano si depositano nei prati andando nelle radici di ogni pianta. Nel nostro organismo abbiamo una data quantità di iodio, quella indispensabile per la nostra vita, ma quando questa quantità viene alterata, ecco che il nostro organismo si modifica e ne conseguono tumori, ad esempio quello alla tiroide.

L’incidente di Cernobyl si poteva evitare’?

Sì, i francesi non hanno avuto di questi problemi e hanno continuato col nucleare. Altre nazioni hanno chiuso impianti nucleari (Germania e Svizzera), ma erano pochissimi e di piccola dimensione. Poi, non avevano mai puntato sul nucleare. Quello che in occasione del referendum non è stato detto agli italiani è come si sarebbe poi affrontato il problema energetico. Così, con questa improvvisazione e superficialità ci troviamo oggi senza un’alternativa, alle dipendenze dei sultani e di altri Paesi che – come la Francia – non hanno problemi di approvvigionamento e ci vendono energia ricavata dalle loro centrali. Anche gli Stati Uniti non hanno chiuso alcuna centrale. Ora noi avremmo energia a basso costo, mentre invece dobbiamo comprarla a prezzo alto. Mi dicono che nel mar Baltico è talmente alta la percentuale di radioattività che alle donne, dal terzo mese di gravidanza, è altamente sconsigliato di mangiarne il pesce. Certo la situazione è grave anche per la presenza di numerosi sottomarini nucleari ovviamente non dichiarati. Chi può contrastarne il flusso e l’opera?

Nel tuo lavoro hai conosciuto Enrico Mattei?

Sì, a San Donato Milanese. Lo vedevo tutti i giorni quando scendeva dal suo ufficio per il pranzo nella mensa aziendale. Faceva la sua fila, col suo vassoio, si faceva fare la bistecca con l’uovo, si cercava un tavolo e si metteva a sedere. Una persona veramente notevole anche in questo aspetto.

Quanto è stata determinante per te la presenza di Maria, tua moglie?

La presenza di Maria è stata fondamentale. Nei primi tempi all’estero (molto difficili) è stato determinante averla accanto e per lei è stata dura. Perché in Inghilterra io lavoravo otto ore al giorno ed ero in mezzo a operai, mentre lei non poteva lavorare né pagata e neppure gratuitamente. Una situazione, la sua, veramente disagiata. Maria mi ha sempre sostenuto e i suoi consigli sono stati sempre importantissimi per la mia vita.

Sono cambiate le tecnologie delle nuove centrali nucleari?

Sostanzialmente si continua con gli impianti ad acqua a pressione. Hanno una compattezza maggiore. In Iran stanno procedendo con l’arricchimento dell’uranio. Si può arrivare, di questo passo, oltre a un uso civile per produrre energia elettrica, alla produzione di una bomba atomica? Con 19 kg di plutonio fissile si può fabbricare un ordigno nucleare. Mi sembra che l’Iran sia arrivato al 60% di arricchimento. Se non succede niente possono arrivare ben oltre.

Come vedi il problema dell’approvvigionamento energetico nel prossimo futuro?

È un grande problema. Il mondo ha sempre più bisogno di energia. Spero che si usino tanto la testa, che il buonsenso.

a cura di Roberto Gordini