Cosa spinge una persona a dare la propria vita per gli altri? Se lo chiedessimo a suor Gilberta lei risponderebbe sicuramente «l’amore del Signore Gesù che ha fatto la stessa cosa per me». Suor Gilberta Santandrea, religiosa delle Ancelle del Sacro Cuore di Gesù sotto la protezione di San Giuseppe, nata a Felisio e cresciuta a Solarolo, dal 1979 vive insieme ai poveri fra Messico e Guatemala, dove il suo istituto ha diverse comunità.

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Don Tiziano Zoli, parroco di Solarolo, suor Gilberta e alcuni bambini ospitati nella comunità

Era arrivata in questa parte del mondo durante anni difficili, in cui la Chiesa cattolica fu perseguitata dai Governi soprattutto in Guatemala, Nicaragua, Honduras e Salvador. La Chiesa, infatti, aveva abbandonato posizioni conservatrici in favore di un lavoro pastorale con i più poveri, gli esclusi e gli emarginati, promuovendo la costruzione di una società più giusta e fraterna. Furono gli anni del martirio di tanti cristiani, sacerdoti e laici catechisti, come padre Rutilio Grande (1977), monsignor Romero e i martiri del Quichè (1980), solo per citarne alcuni.

Suor Gilberta da allora ha cercato prima di tutto di dare una testimonianza evangelica, aprendo scuole materne anche con l’intento di promuovere la condizione femminile. Con le sue sorelle vive in una colonia, quartieri sorti abusivamente a ridosso della capitale del Guatemala, e con i poveri condivide la loro vita.

Intervista a suor Gilberta Santandrea, missionaria in Guatemala

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Don Tiziano Zoli con alcuni bambini accolti dalla comunità di suor Gilberta

Suor Gilberta, com’è la vita nella colonia?

La colonia è formata da famiglie che vivono in monolocali costruite in legno o lamiere. Sui servizi domestici basta dire che l’acqua viene erogata solo due volte a settimana e a pagamento. Molte ragazze sono ragazze-madri (fino anche di sei figli con sei padri diversi); molti bambini ultimamente sono orfani a causa della morte di uno o di entrambi i genitori a causa della pandemia. Chi si fa carico di questi bimbi sono le nonne, che devono anche lavorare per poter sopravvivere e provvedere ai bisogni della famiglia

Per molti il Guatemala è un terra violenta.

Direi abbastanza. Ad esempio i genitori escono al mattino presto, nella speranza di trovare un lavoro e, per la grande violenza che esiste, può succedere che non tornino più a casa. Ancora: qui è molto diffusa l’estorsione e ci sono bande disposte a tutto in nome del denaro. Soprattutto i taxisti sono quelli che rischiano di più: o paghi o ti ammazzano. Infine è molto diffuso il sequestro di donne e bambine, però per loro, oltre alla violenza sessuale, c’è l’uccisione. Sono le desaparecidas dei nostri giorni. Ecco perché, in una società come questa, c’è bisogno della nostra testimonianza e della nostra presenza.

Parlaci della vostra scuola.

È una Materna che è stata costruita nei miei primi anni guatemaltechi. Inizialmente accoglieva più di 200 bambini fra i più poveri della colonia. Venivano a scuola anche senza scarpe: grazie a una signora di Padova ogni anno arrivava un container con ogni ben di Dio, dai viveri agli alimenti, al materiale didattico, ai banchi di scuola e agli indumenti. Oggi i bambini sono un terzo rispetto agli inizi e non sono i più poveri, perché quelli devi andarli a cercare.

Qual è la cosa più bella di questa esperienza?

La Provvidenza non ci ha mai abbandonato: singole persone, aziende, parrocchie, gruppi, famiglie e associazioni ci sostengono economicamente e con la preghiera. E poi abbiamo le adozioni a distanza per consentire ai bambini di andare a scuola.

Com’è organizzata la scuola in Guatemala?

La scuola Materna inizia a 4 anni e finisce a 7. La Primaria va da 7 a 13 anni, poi c’è la Secondaria. Molti, dopo la Secondaria, abbandonano gli studi perché devono aiutare i genitori o perché si aggregano nelle mare, bande criminali dedite all’estorsione e alla violenza. Il dramma è che per entrare in queste bande è necessario prima avere ucciso una persona.

Ma la vostra presenza non si limita alla scuola Materna

È vero! Qui abbiamo creato una specie di centro di ascolto, soprattutto per le giovani mamme.
Per loro qualche tempo fa avevamo aperto anche corsi di cucina, di sartoria per dare loro la possibilità di un lavoro. Ma poi è arrivata la pandemia… e adiòs!

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E ora, a quasi 83 anni, come vedi il tuo essere missionaria?

Alla mia età, nonostante tutto, vedo la mia missione con tanta speranza.
Lucia, una ragazza di 22 anni, rappresenta per me la continuità di quello che abbiamo fatto, un frutto che il Signore ha voluto regalarmi. Certo: non ho più le forze per andare in giro a evangelizzare, però passo alcune ore in un piccolo taller a confezionare piccoli oggetti di sartoria da vendere e sostenere le famiglie povere.

Cosa significa per te la parola “missione”?

Significa essere discepoli in cammino (anche se ultimamente un problema al piede non mi permette di muovermi da sola).
Qui in questo momento faccio quello che posso, per dare alle giovani la mia testimonianza di religiosa felice e convinta della mia vocazione. Ora è il tempo della lettura, della preghiera e del giardino, per non perdere le origini della mia terra di Romagna.
Il giardino deve essere accogliente: è il biglietto da visita della comunità, segno del nostro essere accoglienti.

Tiziano Zoli