È molto più di una corsa. C’è chi la vive come un vero e proprio pellegrinaggio per conoscere il mondo, crescere, ringraziare per la bellezza del Creato. Si parte in sella su due ruote. Poi si rimane accompagnati per oltre 100km dal fascino delle Dolomiti. E da quelle montagne emerge una tradizione millenaria che prende la forma delle parole della lingua ladina. Partenza da La Villa, in Alta Badia, e arrivo a Corvara; ma ogni pedalata della celebre Maratona dles Dolomites porta molto più lontano del semplice punto di arrivo. Il faentino Paolo Castellari lo sa bene. Dal 2004 partecipa a questa competizione unica nel suo genere e il 3 luglio scorso è tornato a correre questa gara per cicloamatori. Alla Maratona dles Dolomites partecipano migliaia di cicliste e ciclisti da tutto il mondo. Ed è anche per questo che si caratterizza come una manifestazione che persegue la Pace e la comprensione internazionale, abbinando all’aspetto sportivo tante iniziative di solidarietà.

Un percorso per immergersi nella bellezza mozzafiato delle Dolomiti

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La Maratona prevede tre tipologie di percorsi e quello più impegnativo, che ha corso Paolo, è durissimo: 138km per 4.200 metri di dislivello che toccano le province di Bolzano, Trento e Belluno. Nel mezzo, si affronta il terribile Passo Giau, con una pendenza media oltre il 9%. Paolo non si è fatto scoraggiare e, sostenuto dai paesaggi mozzafiato delle Dolomiti, ha portato a termine la gara in 8 ore e 47 minuti. «Mi alleno per questa corsa da ottobre – spiega Paolo – sicuramente se non si è allenati è una prova difficile da portare a termine. In questi mesi ho perso 8 kg e sono soddisfatto del mio tempo, anche se chiaramente non puntavo certo a posizionarmi nelle prime posizioni».

Alla scoperta della cultura ladina

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Un esempio di Messale trilingue

L’aspetto agonistico è infatti solo la punta dell’iceberg di quello che rappresenta la Maratona dles Dolomites. Lungo i suoi percorsi si intrecciano sport, natura, cultura, solidarietà. «È difficile riassumere in poche parole quello che rappresenta. Per me questa Maratona è una sorta di pellegrinaggio – spiega Paolo – e ringrazio il Signore per darmi la forza di poter fare questo percorso e immergermi in tutta la sua bellezza». E quella di Paolo non è una semplice immersione da turista mordi e fuggi. L’aver partecipato per tanti anni alla Maratona ha permesso di fargli conoscere in profondità questi luoghi che hanno tanto da raccontare. Si va oltre la presentazione da cartolina con le quali, spesso, vengono banalizzati. «Mi colpisce sempre molto il fascino della cultura ladina – spiega Paolo – e il vedere come concretamente si tenga viva questa lingua e cultura. I ladini sono più antichi abitanti delle Dolomiti e, grazie anche alle loro valli chiuse, hanno potuto resistere ai processi di germanizzazione della lingua. Mentre corro la Maratona, mi imbatto in diversi cartelli stradali in trilingue: italiano, tedesco e ladino. Oppure, in una chiesa, posso sfogliare un Messale trilingue. È per me un bellissimo esempio di inclusione tra lingue e culture, cosa non scontata tenendo conto della storia che hanno vissuto questi luoghi: i segni drammatici della Prima guerra mondiale e del nazionalismo fascista sono ancora visibili, ma si è riusciti nel tempo a superarle dando vita a una realtà veramente inclusiva, con scuole trilingue e all’avanguardia».

La chiesa locale, pacificatrice tra i nazionalismi

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La chiesa di Santa Caterina (Santa Tarina in ladino) a Corvara

Fondamentale anche il ruolo della chiesa locale, pacificatrice in questo contesto nazionalista. Ed è anche l’aspetto religioso delle valli dolomitiche a meritare di essere vissuto. «Viene molto sentita la celebrazione del Sacro Cuore, che fa parte dell’identità storica e religiosa del Tirolo. Un anno la Maratona venne spostata proprio perché andava a coincidere con questa manifestazione. Poi in Val Badia è molto venerato san Giuseppe Freinademetz, originario della frazione di Oies morto missionario in Cina nel 1908 e proclamato santo da papa Giovanni Paolo II. Sono queste solo alcune delle culture vive che ho potuto conoscere qui grazie alla Maratona».

Samuele Marchi

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