Non accontentarsi di slogan, ma percorrere un cammino che unisca fede e ragione, esperienze concrete e competenze professionali. E sono questi i sentieri percorsi nella serata del 6 aprile scorso dedicata al tema del fine vita, promossa dalla Diocesi di Faenza-Modigliana e dalla Consulta delle aggregazioni laicali. Grazie ai relatori – l’avvocato Paolo Bontempi, la dottoressa Gabriella Reggi e il medico Angelo Gambi – il fine vita è stato affrontato da vari punti di vista, da quello legislativo a quello sanitario, ripercorrendo e portando nuovi spunti ai contenuti del volume Fine vita. Il punto tra dottrina della fede, legislazione statale ed esperienza medica (Ed. Tipografia faentina) a cura del vescovo monsignor Mario Toso e arrivato alla seconda edizione di stampa.
La serata in Seminario è stata aperta proprio dalla riflessione del vescovo Mario, che ha sottolineato l’importanza della formazione e dell’approfondimento nell’approcciare temi così complessi. In particolare i giovani devono essere messi nella condizione di poter avere gli strumenti adeguati per affrontare questi argomenti con un sano spirito critico. «Il fatto che molti giovani abbiano firmato la proposta di referendum sull’eutanasia in nome di quella che, in questo caso, consideravano una libertà individuale deve interrogarci tutti» ha detto. Inoltre ha auspicato un maggior impegno e consapevolezza critica della classe politica nell’affrontare questi temi.
Far dialogare fede e ragione
A fare il punto legislativo sul fine vita è stato l’avvocato Bontempi, che ha messo in relazione due parole: fede e ragione. «C’è spesso l’idea della fede come di uno spazio puramente intimo contrapposto a quello della vita pubblica, dove invece entrano in gioco altri ragionamenti. Eppure non deve essere così, specie quando si parla di valori fondamentali dell’essere umano».
L’avvocato Bontempi ha poi illustrato le motivazioni della Corte costituzionale che il 2 marzo scorso ha bocciato il quesito referendario. «Si tratta di una sentenza illuminante, soprattutto perché proviene da magistrati di area non particolarmente cattolica».
Fondamentale far incontrare i giovani e i sofferenti
La riflessione di Gabriella Reggi, prima che da risposte, è partita da una domanda: che cosa conoscono i giovani di oggi della sofferenza e della morte? «Abbiamo formato una società in cui questi temi sono diventati tabù – spiega la dottoressa -, mentre invece se ne dovrebbe parlare maggiormente, anche in ambito ecclesiale. Non devono però rimanere riflessioni astratte: si deve passare sempre dall’esperienza diretta. Per questo è fondamentale far incontrare i giovani delle nostre parrocchie con chi soffre, e far sì che da questo incontro nasca una relazione arricchente per tutti». Tra gli esempi virtuosi citati, quello della spiaggia Insieme a te, a Punta Marina, per persone con disabilità. «In questi ambienti vince la voglia di vivere e si mette in campo un sostegno ai malati dal vero spirito evangelico. Incontrarsi con la malattia vuol dire poi, per un giovane, fare i conti con qualcosa che in futuro gli potrà appartenere». La dottoressa Reggi ha poi analizzati gli aspetti contraddittori di una società, come quella olandese, in cui vengono dimezzate le cure per Alzheimer e, al tempo stesso, viene incentivata l’eutanasia. «Si passa dal presunto ’diritto al morire’ al ’dovere di morire’, specialmente per le persone più fragili. Questo è pericolosissimo, specie in una società con molti anziani e pochi giovani. Anche perché l’eutanasia è contagiosa, e una volta aperta la strada non si conosce dove si fermerà».
L’eccesso del clientelismo nel rapporto tra medico e paziente
«La morte è un fenomeno che fa parte della natura umana – ha aperto il suo intervento il dottor Gambi -. L’idea della morte è intrinseca al nostro organismo, un evento quotidiano che riguarda ognuno di noi». Gambi ha poi analizzato come nel rapporto medico-paziente si sia passati in questi ultimi anni da un eccesso di paternalismo a un eccesso di clientelismo, dove è il paziente che pretende le modalità con le quali il medico deve intervenire. E in questo ambito si inserisce il tema dell’eutanasia, che mina questo rapporto. «Tutto si deve basare su un’alleanza terapeutica, un’armonia di intenti tra medico e paziente dove al centro c’è la fiducia – sottolinea -. Entrambi fanno un cammino insieme e si sostengono a vicenda. La richiesta di eutanasia a un medico rompe questo legame, e viene vissuta da quest’ultimo come una vera e propria violenza».