Era un freddo pungente e costante. Un freddo che si è percepito sulla pelle e che ha avvicinato alle profonde solitudini di chi vive soprusi e violenze sulla strada. Dalla chiesa del Paradiso alla parrocchia di Pieve Ponte: un cammino ricco di canti, preghiere e testimonianze per le donne vittime di violenza e di tratta. La fiaccolata dell’8 marzo scorso è stata promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII, assieme ad alcune parrocchie, nei luoghi della via Emilia dove ogni sera si consuma una schiavitù alla quale troppo volte si resta indifferenti. La veglia, presieduta da don Luca Ravaglia, è stata aperta dalle parole del vescovo Mario e del sindaco Massimo Isola. Circa un centinaio di partecipanti, fiaccole in mano, si sono poi incamminati lungo la via Emilia portando luce nella notte. Questa strada è percorsa anche dai volontari delle unità di strada dell’Apg23 che incontrano le donne prostituite per offrire loro un contatto umano e fraterno, forse l’unico che hanno nelle loro notti passate sulla strada.

La testimonianza di un’ex prostituta nigeriana

In sinergia con il Comune e altre associazioni del territorio l’Apg23 sta “custodendo” tre nuclei familiari nigeriani, con le varie fatiche del caso, ma anche con le tante gioie. Ne è esempio la testimonianza di Anna (nome di fantasia), arrivata sei anni fa dalla Nigeria come clandestina. «Non ho avuto altra possibilità che prostituirmi in strada per poter vivere – racconta – finché, dopo qualche mese in strada, sono stata accolta in una casa famiglia della Papa Giovanni XXIII, dove è iniziato il mio percorso di integrazione, che è stato caratterizzato da lunghissime attese: quella per ottenere il permesso di soggiorno prima, poi la difficoltà ad avere accesso all’assistenza sanitaria. Gli impiegati italiani erano molto inesperti riguardo ai diritti degli stranieri e alle leggi che li garantiscono, per questo è stato necessario un lavoro di anni di collaborazione fra volontari e istituzioni per arrivare a una efficace tutela dei diritti sanitari degli stranieri a Faenza e molto ancora ci sarà da crescere».

La vita dopo la strada: la burocrazia e il problema urgente della casa

Dopo circa un anno dal suo ingresso in casa famiglia ha conosciuto il suo attuale marito e ha avuto una bimba che ora ha quasi 4 anni ed è portatrice di grave disabilità. «Con mio marito e mia figlia abbiamo vissuto in un appartamento per alcuni anni – prosegue – per poi essere sfrattati per interessi economici della padrona di casa che voleva vendere la proprietà. Da quel momento è iniziata la nostra ricerca di una casa dove poter vivere serenamente, ricerca che va avanti da ormai due anni, ma a Faenza e dintorni nessuno affitta a un nigeriano, pur avendo mio marito un lavoro fisso e regolari documenti». Inoltre, a causa di complicazioni burocratiche legate al riconoscimento della residenza e all’ottenimento del permesso di soggiorno, ha aspettato quasi due anni per il riconoscimento dell’invalidità di sua figlia. «In questa situazione di estenuante attesa c’è stata e c’è una luce che rinnova e consolida la nostra speranza e fiducia: la vicinanza concreta della Chiesa che ci ha messo a disposizione il luogo in cui dallo sfratto stiamo vivendo e si spende generosamente per fare sentire in tanti diversi contesti la voce dei nostri bisogni e dei nostri diritti. Poi ho trovato l’appoggio dei Servizi sociali del Comune, che hanno posto attenzione alla nostra situazione e se ne stanno facendo carico aiutandoci a percorrere ogni strada possibile per trovare un alloggio adeguato. Adesso che abbiamo tutti i documenti in regola, il problema casa è ancora urgente in quanto sono tante a Faenza le famiglie che, come noi, vivono nell’emergenza e nel bisogno e non c’è posto per tutti».

Samuele Marchi