Il protagonista di un romanzo si può incontrare solo se la sua è una storia vera. Solo se a vivere le pagine di un libro è qualcuno che sceglie di raccontare quello che le parole possono custodire e a cui possono dare un significato: la vita. Difficile riassumere in un articolo la vita di Enaiatollah Akbari, giovane profugo afghano, protagonista di Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda, che ha incontrato i cittadini lo scorso 18 febbraio nel teatro San Giuseppe di Faenza. Una serata organizzata dall’Azione Cattolica diocesana, che non raccoglie solo il racconto di una fuga verso un posto migliore, ma anche le impressioni e le considerazioni di chi sa cosa significa democrazia perché ha conosciuto la dittatura, di chi sa cosa significa accoglienza perché ha subito il rimpatrio, di chi sa cosa significa studiare perché gli è stato impedito per troppo tempo.
Il ruolo della scuola e di incontrare veri maestri
Costretto a fuggire da solo a 11 anni, Akbari ha attraversato il Pakistan, l’Iran, la Turchia per arrivare in gommone nei mari della Grecia e arrivare infine in Italia. Qui ha scelto di fermarsi e a Torino, dove ha avuto modo di studiare e laurearsi, ci vive tuttora. Enaiatollah ha regalato al pubblico non solo una riflessione sul tragico presente dell’Afghanistan, ma anche un antidoto all’indifferenza di chi si gira dall’altra parte e pensa che non sentir parlare di un problema significa non doversene preoccupare più. Sapere cosa succede intorno a noi per poter agire, conoscere la lingua dell’altro per poterlo ascoltare. Importante il ruolo della scuola in questo e soprattutto il ruolo dei maestri. «Il mio maestro ha dato voce al mio racconto. Chi incontra un vero maestro è fortunato perché è come se avesse due padri», dice Akbari. «Vorrei poter fare qualcosa un giorno perché anche nel mio Paese il diritto all’istruzione sia garantito a tutti».
Un messaggio importante soprattutto per i tanti giovani presenti che hanno avuto modo di conoscere un pezzo di storia contemporanea attraverso chi ha vissuto realmente ciò che viene riportato nei giornali e tra le pagine dei libri di scuola. Del resto «accoglienza significa integrazione», dice Akbari, e integrare la vita di chi fugge con la vita di chi accoglie è il primo passo per cambiare realmente le cose. «Accogliere è prendersi cura. Sono piccoli e semplici gesti verso l’altro». In un tempo che insegna a scrollare informazioni sul cellulare e a non guardare oltre siamo chiamati ad alzarci dal divano, a leggere, studiare e a fare la nostra parte. Una sfida che dovranno cogliere le nuove generazioni, ma che inizia già ora a partire dalle parole di Enaiatollah che spera in un futuro migliore per l’Afghanistan e guarda ancora il mare. Anche se ci sono i coccodrilli.
Maria Letizia Di Deco