Un luogo di enorme valore affettivo e spirituale. Nella prima cappella di sinistra entrando in Cattedrale è posto il battistero. In quel marmo sono rinati alla fede tutti i faentini dal 1546 fino al 1918 e, dopo quella data, i parrocchiani di San Terenzio. L’uso di un unico battistero per tutta la città, del resto, rimontava alla fondazione della diocesi, cioè all’incirca all’inizio del IV secolo.

La scultura

Il battistero in marmo greco è ornato frontalmente e lateralmente da bassorilievi rappresentanti a mezzobusto il titolare, l’apostolo san Pietro, san Paolo, festeggiato assieme al primo il 29 di giugno, e san Savino, uno dei quattro protettori della diocesi, sepolto in Cattedrale.

Si possiedono i nomi degli autori della magnifica scultura, il famoso scultore faentino Pietro Barilotto (1482-1553) e il discepolo Pietro Marafino. Lo portarono a termine negli anni 1545-46, poco dopo il completamento della nuova Cattedrale, come consta da note di pagamento pubblicate dal Grigioni.

Altre opere (tre sepolcri e un’acquasantiera) del Barilotto, a cui è stata intitolata la via che fiancheggia il Duomo, sono in Cattedrale. Antichi sono anche gli affreschi della volta, rappresentanti in un tondo centrale, che imita una lanterna, la colomba dello Spirito Santo in gloria d’angeli, e in quattro tondi del contorno la creazione del mondo, dell’uomo e della donna, il peccato originale. Nei pennacchi sono raffigurati profeti ed evangelisti. Dal tempo dello Strocchi sono attribuiti al pittore faentino Giulio Tonducci (1531- 1582/1598), personalità piuttosto enigmatica. Secondo il Valgimigli e il Golfieri non avrebbero significato battesimale, che è invece sostenuto da monsignor Savioli. A seconda che si accetti l’una o l’altra interpretazione si deve assegnare agli affreschi una diversa cronologia.

Al 1828 infine risalgono le pitture delle pareti inferiori, che rappresentano il Battesimo di Cristo, e ai lati in chiaroscuro la Missione conferita da Cristo risorto agli apostoli e la Predica di san Giovanni Battista nel deserto. Furono eseguiti dal celebre maestro del neoclassicismo faentino Pasquale Saviotti (1792-1855). Il Golfieri ha mostrato che il pittore si è attenuto, in quest’opera, non al proprio stile, ma a quello dell’autore degli affreschi della volta.

Due note inedite

Sono da aggiungere due note inedite, ricavate da documenti dell’Archivio dei Canonici, che possono servire ad avviare a soluzione problemi che ancora permangono su questo monumento.

Il primo punto riguarda la traslazione o le traslazioni del marmo all’interno del Duomo, il secondo la sua originale forma. Dalla visita apostolica del 1573 apprendiamo che il battistero si trovava in quel tempo appoggiato al muro interno della facciata, tra la porta maggiore e quella di destra. Questa disposizione risaliva forse al 1546. Era molto scomoda in quanto esponeva bambini, genitori e padrini alle correnti fredde che d’inverno provenivano dalle porte. Il visitatore consigliò perciò al vescovo di trasferirlo nella prima cappella di sinistra. Come avvenne, secondo lo Strocchi, nel 1577. Diversi documenti presuppongono però una doppia traslazione: una nel 1577 e una nel 1612. Con la prima il battistero fu trasferito nella terza cappella di sinistra, ora dedicata a san Carlo Borromeo. Qui si trovava ancora nel 1612 quando il vescovo cardinale Erminio Valenti, intenzionato a decorare a sue spese quel luogo per dedicarlo al santo arcivescovo di Milano, da poco beatificato, lo fece trasportare nella prima cappella.

Il Golfieri ha notato che dell’originale battistero non restano che i tre bassorilievi frontali e che la forma attuale non rispecchia più quella primitiva. Venne dunque trasformato. Ora si presenta come un esagono iscritto in un’ellisse. In origine sembra avesse forma quadrata, come si evince dalla descrizione della Visita apostolica del 1573, che accenna a una copertura piramidale. Secondo il Golfieri assunse la forma attuale al tempo della traslazione nella prima cappella, che egli credeva, come Strocchi, avvenuta nel 1577. Invece la manomissione risale al 1828, come si apprende da documenti capitolari.

Fino a quell’anno conservava ancora l’originale forma cinquecentesca a dado. Per ampliare la doppia cavità interna destinata a contenere l’acqua benedetta venne segato e ricomposto come ora lo vediamo.

Ruggero Benericetti