Mettersi in cammino sulle orme di Dante. Don Luca Ravaglia, 57 anni, biblista e parroco di San Savino a Faenza, da dodici anni partecipa alla Cento km del Passatore. Un’ultramaratona tra le più impegnative in Italia, con partenza da Firenze e arrivo a Faenza passando per gli Appennini tosco-romagnoli. Cento chilometri di sudore, fatica e gambe che a ogni passo diventano pesanti come macigni. A sostenere questo cammino, le sensazioni che solo esperienze di questo tipo riescono a dare al corpo e allo spirito: la meta che pian piano, da irraggiungibile, si fa più vicina, i luoghi contemplati nel silenzio, il sostegno della gente. E la preghiera. Per don Luca la Cento diviene ogni anno l’occasione per vivere un pellegrinaggio spirituale nel quale preghiere e riflessioni accompagnano i luoghi attraversati. Per l’occasione don Luca propone un libretto che affronta una tematica legata al magistero della Chiesa o a un santo: dall’enciclica Laudato Si’ a San Giovanni Bosco, e i luoghi più significativi del percorso diventano occasione per fermarsi nella preghiera, prima di ripartire. «A causa della pandemia, che ha stoppato la manifestazione, le ultime due edizioni le ho svolte in maniera fai-da-te, trovando percorsi alternativi, ma tenendo viva questa tradizione – spiega il sacerdote – e quest’anno ho deciso di dedicare la Cento a Dante, toccando i luoghi più significativi della Commedia accompagnato, tra le altre cose, dalla Candor Lucis Aeternae di papa Francesco».

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Intervista a don Luca Ravaglia

Come mai la scelta di Dante?

Anche se la Cento km quest’anno non si può fare, Dante si merita lo stesso la dedica di una Cento “ideale”. Dante è nato a Firenze ed è morto a Ravenna e con la sua vita unisce la Toscana e la Romagna… un po’ come la Cento. Poi Dante ha camminato tanto, nei lunghi anni del suo esilio, ma anche prima: basta osservare le tante località che elenca, i panorami che descrive anche nel dettaglio, di qua e di là dall’Appennino. Conosce le salite, i monti, le valli, le selve, i cieli stellati. Conosce le fatiche del cammino, i rischi, gli ostacoli, gli smarrimenti, le paure. Ma anche le gioie, gli slanci, le energie ritrovate, la rinnovata scioltezza e agilità: parte affaticato ma cresce il suo vigore lungo il cammino e arriva volando. Il cammino diventa per lui metafora della vita: cammino di speranza dalle tenebre alla luce, dallo smarrimento al ritrovato desiderio, verso una conoscenza più vera di Dio, del mondo, di se stesso.

Quale tragitto percorrerai?

Ho pensato in particolare all’Inferno come discesa e al Purgatorio come salita. La partenza avverrà da una caverna, la grotta Tanaccia di Brisighella. Proseguirò poi scendendo fino alle campagne faentine, alla Castellina di Pieve Cesato (dove è avvenuto l’episodio di Frate Alberigo e della «frutta del mal orto»), e poi percorrerò parte del cammino Viae Misericordiae, arrivando a sera, salendo, fino all’eremo di Montepaolo.

E il giorno dopo?

Se le gambe non saranno paralizzate dalla fatica, mi recherò nel ravennate. Partirò da Lido di Dante, all’alba per poter ammirare «il tremolar de la marina», poi mi dirigerò alla pineta di Classe, ai mosaici delle basiliche e alla tomba di Dante. La vera tappa conclusiva sarà il Mausoleo di Galla Placidia, dove è presente una delle immagini più rappresentative dell’«Amor che move il sole…».

Cosa ti ha colpito nel rileggere nei mesi scorsi la Commedia?

Leggere come Dante si abbeveri davvero dalla sorgente delle Sacre scritture, con tante citazioni e approfondimenti sulla fede e sulla teologia. Inoltre mi hanno colpito i tanti riferimenti alla Madonna, a cui nella distratta lettura liceale non avevo fatto caso.

Al di là delle celebrazioni, come prendere “sul serio” Dante oggi?

Il nostro mondo è molto diverso da quello di Dante, ma è importante cogliere l’approccio con cui lui guarda alla situazione del suo tempo. Ci sono esperienze, come quella dell’esilio, molto attuale oggi per tanta gente. E poi le sue critiche all’economia del tempo, dove il fiorino è diventato un idolo. Un’altra cosa è il fatto che Dante affronta e chiama il peccato con il suo nome, senza fare sconti. Più grande del peccato è però la misericordia a cui è sempre possibile affidarsi. Inoltre Dante non cammina mai da solo, ma ha delle guide. Punta sulla responsabilità e libertà personale, ma il suo è un cammino che gli è concesso dalla grazia.

Come è nata l’idea di partecipare alla Cento chilometri?

L’ispirazione è avvenuta nel 2009, anno paolino. San Paolo ha camminato tanto nella sua vita, e nelle sue lettere cita esplicitamente la corsa.

Cosa significa percorrere 100 chilometri?

Il clima di gioia alla partenza, la fatica. Poi il vivere momenti di condivisione della preghiera nei luoghi di ristoro gestiti dai circoli parrocchiali, di notte. Un cammino fatto insieme, con tanti amici che mi accompagnano, e la natura vissuta nel silenzio. Nel 2018 dopo aver percorso la Cento in 19 ore, sono arrivato al traguardo domenica mattina alle 10. Sono corso in parrocchia e, dopo una doccia veloce, ho celebrato la messa delle 11. Per fortuna che ha tenuto l’omelia il diacono, altrimenti sarei crollato all’altare.

Samuele Marchi