Caro direttore,
le scrivo in questo tempo di Avvento, non con la consueta serenità dell’attesa, ma con un pizzico di amarezza, o forse, più schiettamente, di sacrosanta indignazione. Guardo ai bambini, e non solo a loro, e vedo il trionfo di una liturgia parallela, una mistica del consumabile che ha saputo inghiottire persino i simboli più semplici e toccanti della nostra fede: parlo, è ovvio, del Calendario dell’Avvento. Quella che fu una pratica domestica, sobria, didattica – un conto alla rovescia di attesa e di preparazione, spesso scandito da versetti biblici, buone azioni o da immagini sacre velate da una porticina di cartone – si è mutata in un’espressione commerciale di rara e quasi imbarazzante sfacciataggine.
Mi chiedo, direttore: dov’è finita l’Avvento? Non l’Avvento teologico, quello che ci chiama alla conversione e al rinnovamento interiore e al ritorno di Cristo, ma l’Avvento popolare, quello che preparava le nostre anime al Mistero. Oggi è stato sostituito da una scatola di cartone luccicante che promette una quotidiana, misera gratificazione zuccherina. La porticina non si apre più sul volto di un angelo, ma su un cioccolatino che vale pochi centesimi, o peggio ancora, su un gadget di plastica. È la deriva del ‘sempre subito’, filtrata attraverso il marketing più spinto. L’attesa, la virtù cristiana per eccellenza, viene annullata dalla logica del “dopo-un-giorno-un-premio”. Non si attende la Luce di Betlemme; si attende la dose giornaliera di dopamina. E noi, come Chiesa e come educatori, abbiamo assistito a questo lento, inesorabile esproprio simbolico, limitandoci a borbottare contro il “troppo Natale” senza riconoscere che il vero nemico è lo svuotamento del tempo di preparazione.
La Quaresima ha i suoi limiti autoimposti e penitenziali, ma l’Avvento era vulnerabile. È stato facile penetrarlo, riempirlo di merce, trasformando la vigilanza spirituale in vigilanza sugli scaffali per accaparrarsi l’edizione limitata. Il Calendario d’Avvento è diventato il termometro della nostra secolarizzazione più subdola. Il sacro è tollerato solo se si vende. La promessa eterna è stata sostituita dalla promessa di un acquisto. Forse è tempo di ritirare il cartone, buttare via il cioccolato, e riconquistare quelle 24 finestrelle, riempiendole di ciò che conta davvero: un passo, ogni giorno, verso la riscoperta di Colui che viene. Altrimenti, l’Avvento sarà solo un lungo, costoso preludio al disincanto.
Con i migliori auguri per il vostro lavoro.
Andrea Rava (Faenza)














