L’ondata di maltempo di Natale è stata il quinto evento estremo in meno di tre anni in Romagna. Ancora una volta i bacini del Senio e del Lamone sono entrati in crisi: pianure a rischio di allagamento, evacuazioni, nuove frane in collina e in montagna. Continuiamo a chiamarli “eventi estremi”, ma ormai sono la regola. A questo punto la domanda non è più se torneranno, ma se il nostro modello di sviluppo sia ancora sostenibile. Da decenni concentriamo popolazione, attività produttive e infrastrutture lungo la pianura e l’asse della Via Emilia, mentre le aree interne vengono progressivamente svuotate. La montagna è già demograficamente persa, la collina la sta seguendo. Se non invertiamo la rotta, avremo territori interni desertificati e una popolazione compressa in aree sempre più fragili e insicure.
I dati globali sono chiari: nel 2050 il 68% della popolazione vivrà nelle grandi città. Tra Milano e Rimini rischiamo un’unica urbanizzazione continua, mentre coste e pianure vengono edificate in zone a rischio idraulico strutturale. Ha davvero senso insistere su questo unico modello? Continuiamo a raccontare che solo la città è futuro: lavoro, servizi, mobilità, opportunità. Tutto ciò che è fuori dai poli urbani viene considerato marginale, inefficiente, destinato a scomparire. Ma lo stiamo dicendo ai giovani che la pianura non è più sicura? Stiamo spiegando che concentrare tutto in pochi spazi aumenta il rischio ambientale, sociale ed economico per tutti? Non esistono più aree davvero sicure da edificare, se non a costi enormi per la collettività. Eppure continuiamo a spingere nella stessa direzione.
È il momento di cambiare paradigma. Tornare a guardare a monte della Via Emilia, lungo le vallate e nelle aree collinari, non per nostalgia, ma per necessità. Serve una strategia chiara che punti a: riabitare le aree interne, rendendole attrattive per i giovani; portare lavoro, servizi essenziali e connettività fuori dalle città; sostenere nuove forme di economia diffusa, dall’agricoltura evoluta all’artigianato, dal turismo sostenibile ai servizi digitali; investire in sicurezza ambientale e manutenzione del territorio, che è la vera infrastruttura del futuro.
Non si tratta di tornare indietro, ma di redistribuire in modo intelligente popolazione e opportunità. Un equilibrio nuovo, possibile, tra persone e territorio. Continuare così non è più una scelta: è una rinuncia al futuro.
Alessandro Liverani














