I nuovi criteri nazionali per la classificazione dei Comuni montani, così come annunciati dal Governo, rischiano di produrre, secondo il consigliere regionale del Partito Democratico Niccolò Bosi, effetti ingiusti e penalizzanti per ampie aree dell’Appennino emiliano-romagnolo, mettendo in discussione equilibri territoriali già fragili.
Una riduzione che penalizza i territori
Secondo le prime indicazioni, in Regione Emilia-Romagna i Comuni montani passerebbero da 121 a 71. In particolare, nella provincia di Ravenna e nella Romagna Faentina, è probabile che tutti e tre gli attuali Comuni montani non rientrino più nella nuova classificazione. L’elenco ufficiale è atteso nei prossimi giorni, ma le preoccupazioni sono già forti tra amministratori locali e comunità.
Si tratta di territori che vivono quotidianamente difficoltà strutturali tipiche della montagna: dissesto idrogeologico, viabilità complessa, spopolamento, fragilità dei servizi essenziali e costi più elevati per cittadini e amministrazioni. Ridurre la definizione di montanità a parametri rigidi ed esclusivamente altimetrici rischia di non riconoscere la realtà concreta di questi Comuni.
Le conseguenze per il ravennate
Nel ravennate, realtà come Casola Valsenio, Brisighella e l’area collinare faentina vedrebbero messo in discussione il loro riconoscimento come Comuni montani. Le conseguenze sarebbero molto concrete: minori risorse per la manutenzione delle strade, meno fondi per la sicurezza del territorio e una riduzione delle tutele per scuole, trasporti pubblici e servizi sanitari di prossimità.
La posizione della Regione e del consigliere Bosi
A margine delle prime dichiarazioni dell’assessore Baruffi e delle preoccupazioni espresse da numerosi sindaci e sindache e della conferenza stampa indetta oggi dal Gruppo Pd, il consigliere Bosi ha dichiarato:
«Come Regione Emilia-Romagna abbiamo sempre difeso un’idea di montagna viva, abitata e presidio del territorio, investendo su servizi, infrastrutture e coesione sociale.
Le famiglie, senza incentivi per i nidi, incentivi per la casa e tutela dei servizi pubblici, rischiano di decidere di non abitare più i territori montani, aumentando così lo spopolamento e la fragilità di quei Comuni che invece dovrebbero essere un baluardo contro l’impoverimento territoriale e il dissesto idrogeologico. Non possiamo accettare che, con un colpo di penna, si sottraggano strumenti fondamentali a comunità che già fanno i conti con grandi fragilità.
Questa norma traccia una linea chiara tra chi crede che l’Appennino possa ancora essere una risorsa, fatta di aziende che meritano una fiscalità di vantaggio e cittadini che meritano servizi territoriali, e chi, come il Governo, crede che invece le aree interne e collinari debbano essere lasciate sole».
La risoluzione in Assemblea Legislativa
Nella giornata di oggi il Gruppo Pd ha presentato una risoluzione all’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna per chiedere alla Giunta regionale di farsi portavoce, in Conferenza delle Regioni, della necessità di rivedere i criteri annunciati dal Governo. L’obiettivo è quello di tenere nella dovuta considerazione gli elementi antropici, culturali, socio-economici e infrastrutturali che costituiscono l’essenza stessa della definizione di montanità.














