Martedì 12 agosto, alle 20.45, presso il Monastero di Camaldoli, si terrà un incontro pubblico con Sabino Chialà, priore della Comunità Monastica di Bose, sul tema: “Ricordare Nicea 1700 anni dopo. Come e perché?”. L’iniziativa si inserisce nel programma della Via Sancti Romualdi 2025 ed è organizzata dall’Associazione Romagna-Camaldoli insieme alla Comunità Monastica di Camaldoli. La serata sarà introdotta da Matteo Ferrari, priore generale della Congregazione Camaldolese.

Il contesto storico e teologico, cenni introduttivi a cura di Sabino Chialà, priore della comunità monastica di Bose
Nel suo cenno introduttivo, Sabino Chialà ricorda che il Primo Concilio di Nicea, convocato nel 325 dall’imperatore Costantino, nacque in un contesto storico particolare e fu utilizzato anche per creare unità nel mondo politico del tempo, quindi può essere anche interpretato in maniera non proprio evangelica.
«Per i cristiani – spiega Chialà – fu la prima volta in cui si affermò insieme la fede in Gesù non solo come profeta, ma come Figlio di Dio, pienamente uomo e pienamente Dio. Questa affermazione ha avuto una ricezione difficile, in quanto il Concilio fu convocato per via della negazione di questa fede da parte di alcuni, in particolare Ario.
Però, alla fine, tutte le Chiese cristiane, attraverso un lento cammino, arrivano ad accogliere questa fede e a farne la base della loro comune fede in Gesù. Il nostro essere cristiani si basa su questa comune professione di fede».
Il significato del primo Concilio Ecumenico di Nicea
Come ricorda l’Arcidiocesi di Belgrado ( messaggio del 27 ottobre 2022), il Concilio affrontò questioni dottrinali centrali, in particolare la definizione di Gesù Cristo come Figlio di Dio “consustanziale al Padre”.
Naturalmente questa formula può essere compresa soltanto alla luce della violenta disputa divampata nel cristianesimo in quel tempo, principalmente nella parte orientale dell’Impero Romano, una disputa che ruotava intorno alla questione di come conciliare la confessione di fede cristiana in Gesù Cristo quale Figlio di Dio con la fede altrettanto cristiana in un unico Dio.
Tale diatriba testimonia che, all’inizio del IV secolo, la questione cristologica era diventata un “caso problematico del monoteismo cristiano
La decisione arrivò dopo un acceso dibattito con la posizione del teologo alessandrino Ario, che sosteneva un monoteismo rigido secondo cui Cristo non poteva essere Figlio di Dio in senso proprio, ma solo una creatura intermedia.
Il Concilio condannò questa visione con anatema e confermò la fede cristiana in Gesù come vero Dio e vero uomo, respingendo il modello filosofico strettamente monoteista proposto da Ario.
Questa confessione divenne la base della fede comune delle Chiese, prima delle divisioni e degli scismi successivi.
Da Nicea a Costantinopoli
Il credo cristologico di Nicea rappresenta una tappa importante, anche se non ancora definitiva, sulla via verso il grande credo di Nicea-Costantinopoli del 381.
Di fatti, pur definendo la fede in Gesù Cristo, il Concilio di Nicea menzionò solo in termini generali la fede nello Spirito (“e nello Spirito Santo”). Soltanto con il Concilio di Costantinopoli si giunse a circoscrivere il contenuto della confessione di fede nello Spirito Santo e a formulare così il dogma della Divina Trinità come forma specificamente cristiana del monoteismo.
La fede di Nicea trovo dunque la sua forma definitiva nel simbolo di Costantinopoli.
Per informazioni: Giorgio Gualdrini – 3471453029














