Scout di lungo corso, ha prestato servizio nel terremoto del Friuli quando ancora non c’era il corpo nazionale, e poi l’Irpinia, il terremoto dell’Emilia e le alluvioni in Romagna. “Nelle emergenze la gente ha bisogno di relazioni”, spiega. E sul riconoscimento dice: “Sono un po’ imbarazzato. In tanti lavorano perché io possa partire. Mi sento di condividerlo”.
La prima emergenza, nel 1976, ancor prima che nascesse la Protezione civile. L’ultima, pochi mesi fa, per le alluvioni in Romagna. Valerio Temporin, classe 1957, è volontario di protezione civile da quasi 50 anni. Riconoscimenti, in termini di sorrisi, abbracci e ringraziamenti, in questi anni ne ha avuti tanti ma indubbiamente quello che riceverà il prossimo 2 giugno dalla mani del prefetto, Raffaele Ricciardi, per conto del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, avrà un sapore tutto suo.
Grazie alla segnalazione dell’Anmic, sarà infatti nominato “cavaliere dell’ordine al merito” della Repubblica. «All’inizio pensavo fosse uno scherzo – racconta a Risveglio –. Poi realizzi e quasi ti imbarazza: il riconoscimento lo danno a me e agli altri? Mi sento di condividerlo perché c’è un gruppo di persone attorno a me che mi permette di partire quando c’è bisogno. E qui vorrei ringraziare la mia mamma Italina, mia moglie Mariella e il mio gruppo scout». A loro pensa con un grazie, e al suo storico capo scout, Guido Miserocchi.
Già perché la Protezione civile in Italia nasce anche grazie agli scout. E Valerio c’era, anzi c’era ancor prima, nel ’76, quando con il clan del Ra 2 andò a dare una mano nel terremoto del Friuli: «Il mio capoclan di allora ci aveva fatto fare un corso di addestramento dai pompieri – ricorda –. E lì c’era bisogno di un gruppo attrezzato. Gli scout erano gli unici in grado di allestire tende ed erano abituati a viverci. Così quando arrivammo ci diedero da gestire il campo». All’epoca, senza una struttura di Protezione civile nazionale, significava partire da zero: «Abbiamo tagliato gli alberi per fare i pali della luce. Grazie al nostro capo che lavorava all’Anic facemmo arrivare due camion di materiale elettrico e idraulico e in cinque giorni ogni tenda aveva la luce e l’acqua».
Dopo il Friuli, l’Irpinia, nell’80, poi il Molise, l’alluvione di Borghetto Varo, il terremoto dell’Emilia e le grandi alluvioni del 2023 in Romagna. «Io l’ho vissuta al Centro di coordinamento di Bologna – racconta Valerio –. E certo che è stata diversa, anzitutto perché è casa tua, anche se per fortuna non sono stato colpito e poi perché l’acqua è l’elemento più imprevedibile, non sai dove colpisce, e la vedi arrivare. Ho visto funzionari regionali con la branda in ufficio, pronti ad ogni evenienza. Ma dico che il sistema delle evacuazioni preventive ha funzionato. Meglio sovrastimare il pericolo che sottostimarlo».
A L’Aquila, nel 2006, Temporin gestì la segreteria della tendopoli, a Finale Emilia l’organizzazione delle persone e degli aiuti. A Crevalcore di nuovo la tendopoli. Da allora la sua specializzazione è proprio questa: l’organizzazione e la gestione degli interventi dei volontari. “Estote parati”, il motto dell’Agesci, per lui non è solo scritto sulla carta: «Io lo zaino lo faccio in 20 minuti – racconta – ma sono 10 anni che non vado più a spalare il fango ma mi occupo di coordinamento».
In tutte queste emergenze c’è una costante, spiega: «La gente ha bisogno di relazioni». L’aiuto materiale è un gancio: «A Bagnacavallo con l’allora assessore Giacomoni, scout anche lui, mandammo i ragazzi dell’Agesci, casa per casa, a chiedere alle persone di compilare un questionario. Alcuni tornarono con solo due fogli compilati in tutto il giorno. Era proprio quello che volevamo: dare alle persone l’opportunità di parlare». Al centro del volontariato sta l’organizzazione («La protezione civile è un sistema») ma soprattutto la persona e la sua incolumità fisica. «La mia fede? Me la porto sempre a casa: fare qualcosa per gli altri. Questo è una fede vissuta».
Daniela Verlicchi