Come milioni di italiani, durante l’ultimo ponte del 25 aprile, ho deciso di concedermi un viaggio. Meta designata la Giordania, paese celebre soprattutto per l’antica città di Petra, inserita tra le sette meraviglie del mondo moderno. Nonostante qualche timore, dovuto alla situazione geopolitica, ho trovato un paese accogliente e ospitale. Grazie a una certa stabilità politica la Giordania rappresenta, in Medio Oriente, un modello di convivenza pacifica tra cristiani e musulmani ed è stata visitata dagli ultimi tre pontefici: Giovanni Paolo II, nel corso del pellegrinaggio giubilare del 2000, Benedetto XVI, nel 2009 e Francesco, nel 2014.

Betania, oltre il Giordano

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Tra i luoghi visitati da tutti e tre i Papi c’è Betania oltre il Giordano, dove Gesù è stato battezzato da Giovanni Battista. Arrivo nel sito del battesimo, verso la fine del mio viaggio, qualche giorno dopo la morte di papa Francesco, in un clima di evidente emozione, condivisa con gli altri turisti in visita. E proprio qui, in questo luogo fondamentale per la cristianità risuonano più che mai attuali gli appelli lanciati da Francesco, durante tutto il suo pontificato. A stridere con la profonda spiritualità del luogo c’è la presenza di guardie di frontiera, armate di kalashnikov, motivo per cui la visita al sito non è consentita in autonomia ma solo in gruppo e accompagnati da una guida. A pochi metri dai soldati, su entrambe le rive del fiume Giordano, tante persone si raccolgono in preghiera e si immergono nell’acqua, considerata sacra. Il corso d’acqua infatti rappresenta il confine naturale tra la Giordania e la cosiddetta West Bank, conosciuta in Italia come Cisgiordania e sottoposta, dopo gli accordi di Oslo del 1993, a controllo misto da parte dell’Autorità Palestinese e dello Stato di Israele. Dove si prega per la pace dunque, non mancano le armi che a Gaza, distante poche centinaia di chilometri, continuano a seminare morte e distruzione. Il pontificato di papa Francesco è stato però contraddistinto, oltre che da un profondo impegno per la pace, anche dall’attenzione nei confronti della nostra casa comune e volgendo nuovamente lo sguardo verso il fiume Giordano, non si può fare a meno di ripensare all’enciclica Laudato Sì.

Il cambiamento climatico non risparmia i luoghi sacri

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A causa dei cambiamenti climatici, con piogge sempre meno frequenti e concentrate in pochi giorni, e dell’eccessivo sfruttamento, con deviazioni a monte da parte di Israele e Siria, il flusso d’acqua si è ridotto a meno del 10% rispetto al suo volume storico e il fiume appare ormai come un piccolo ruscello fangoso. Laddove l’acqua, fino a pochi anni fa, scorreva in abbondanza ora ci sono solo rigagnoli di acque reflue e diversi esperti temono che il letto del fiume, se non si inverte la rotta, possa prosciugarsi completamente, con conseguenze catastrofiche per tutto l’ambiente circostante, a cominciare dal Mar Morto, estuario del Giordano, che tra gli anni 70 e il 2000, ha visto la sua superficie ridursi di un terzo. Secondo un rapporto del 2024 del ministero giordano dell’Acqua e dell’Irrigazione, la disponibilità idrica pro capite è attualmente inferiore a 97 metri cubi all’anno, ben al di sotto della soglia di scarsità idrica di 500 metri cubi, indicata dagli organismi internazionali. La crisi idrica, dunque, rischia di generare ulteriori tensioni in un’area già fortemente segnata da conflitti ed instabilità, andando nella direzione prevista dall’ex segretario generale dell’Onu Kofi Annan che, qualche anno fa, ha indicato l’accesso alle risorse idriche, sempre più scarse e il loro controllo tra le possibile cause delle guerre combattute nel ventunesimo secolo.


Samuele Bondi