Un recente viaggio nelle Fiandre mi ha consentito ulteriori studi volti alla ricerca della Camaldoli europea, alla riscoperta delle radici culturali dell’Europa cristiana, più volte auspicata dal Card. Matteo Zuppi. Le Fiandre sono sempre state un melting pot europeo per i loro contatti, sia culturali, sia commerciali con il resto dell’Europa, ed in particolare Francia, Inghilterra, Italia, Germania, e Spagna.
Molto trae origine da un regno scomparso, il Ducato di Borgogna, che ha origini antichissime e precisamente nel re Gundobado, vissuto tra il V e il VI secolo D.C., che dette al suo popolo un importante testo normativo, le lex burgundiorum, o lex gundobada, una raccolta di consuetudini germaniche, cui si affiancò la lex romana burgundiorum, per i sudditi romani del regno. Il regno raggiunge il suo massimo splendore nel tardo medioevo su iniziativa dei duchi Filippo l’Ardito, e del nipote Filippo il Buono, prima di andare in rovina a causa delle guerre perse dal figlio di quest’ultimo Carlo il Temerario, che muore in battaglia nel 1477 (il Duca Carlo viene soprattutto annientato dagli Svizzeri, all’epoca forse il più potente esercito del mondo, che però pochi anni dopo nel 1515 subiscono una tremenda sconfitta a Marignano e da quel momento diventano una nazione pacifista che non fa più guerre).
L’ultimo Duca di Borgogna è l’imperatore spagnolo Carlo V, nato a Gand nel 1500, nipote di Maria di Borgogna e battezzato nella Cattedrale di San Bavone, l’imperatore sul cui impero non tramontava mai il sole, e che alla fine della sua vita abdicò per ritirarsi alla vita monastica. Al culmine della sua espansione, il regno di Borgogna era vastissimo e inglobava territori di diverse lingue e culture. Infatti, dall’originario nucleo della Borgogna regione francese nota, oltre che per i suoi pregiati vini prodotti sin dall’epoca romana, per le sue abbazie, Cluny, Cicaux, e anche Champmol (che per diversi secoli costituirono un faro spirituale della vita medievale, prima di venire saccheggiate e nazionalizzate dai rivoluzionari francesi alla fine del 18° secolo), il regno/ducato comprendeva alla fine del 15° secolo numerosi territori oggi francesi, belgi, tedeschi e nederlandesi. Questa varietà linguistica e culturale, richiese uno sforzo costante verso la creazione di uno stato che permettesse sia l’unitarietà della gestione, sia il pluricentrismo, ben diverso dallo sviluppo di stati nazionali.
A ben vedere, è la sfida dell’Europa di oggi. Pertanto, il Regno di Borgogna, che si estendeva da Digione, alla Somme, a Lilla, a Malines, da Liegi, all’Alsazia e alla Brisgovia, alle Fiandre policentriche di Gand, Bruges, Anversa, ai Paesi Bassi dell’Olanda e della Zelanda. Era un’epoca caratterizzata da una violenza immanente, da guerre senza fine che coinvolsero tutte le grandi potenze europee, da uno sfarzo immenso dei ricchi e potenti, da enormi differenze sociali, oltre che da un sentimento innato di vendetta (di origine germanica) e dalla estremizzazione dei sentimenti, ma anche da una profonda religiosità. Per comprenderlo, bisogna ancora una volta studiare le opere d’arte.
In primo luogo, le tombe dei Duchi di Borgogna, in particolare quelle di Filippo l’Ardito e Giovanni senza paura, che erano originariamente nel monastero di Champmol e ora si trovano (quello che è rimasto dopo le distruzioni rivoluzionarie) al Museo delle Belle Arti di Digione, nel palazzo già sede dei Duchi. Esse sono la celebrazione del genio di uno scultore olandese, Claus Sluter e dei suoi seguaci, che in particolare rappresentano il corteo dei pleurants i piangenti, gli amici e parenti del defunto che lo accompagnavano nell’ultimo viaggio, e che sono caratterizzati da un vivido realismo e da una manifestazione unica del dolore.
Poi, bisogna recarsi a Gand/Ghent nella Cattedrale di San Bavone (Sint Bavo) per ammirare una delle più grandi opere cristiane, il polittico dell’Agnello Mistico, dei fratelli Hubert e Jan van Eyck, realizzato tra il 1426 e il 1432 circa. Si tratta di un’opera straordinaria, una vera e propria summa teologica, che mostra ai fedeli la redenzione dell’uomo dal peccato originale attraverso il sacrificio dell’Agnello. Jan Van Eyck, era pittore e uomo di fiducia del più importante dei Duchi di Borgogna, Filippo il Buono (fondatore tra l’altro dell’Università di Lovanio), per il quale svolse anche importanti missioni diplomatiche. Le sue opere risentono dello sfarzo e del lusso della corte borgognona. Lo vediamo in due dei suoi più importanti dipinti. In primo luogo, la Madonna del Cancelliere Nicholas Rolin (ricchissimo e potentissimo cancelliere di Filippo il Buono, nonché fine diplomatico che raggiunse la Pace di Arras con la Francia nel 1435), che viene rappresentato insieme e con pari dignità alla Madonna e al Bambino Gesù, in un tripudio di vesti sfarzose e sullo sfondo di paesaggi dipinti con una straordinaria precisione (la si può ammirare al Louvre). In secondo luogo, nei coniugi Arnolfini, una vera e propria celebrazione dell’amore coniugale, caratterizzata da un lusso sfrenato, che emerge sia nelle vesti dei protagonisti, sia nei dettagli della casa (le finestre di vetro e le arance), degni di una reggia.
Nell’Agnello mistico, tuttavia, la prospettiva cambia. L’opera gli viene commissionata da due ricchissimi borghesi e possidenti (Jos Vidt – anche sindaco di Ghent – e sua moglie Lisbeth Borluut, rappresentati nel polittico), con un gesto di mecenatismo a favore della città, non diverso da quello di Enrico Scrovegni. E’ un segno della crescente importanza della borghesia. L’opera è incentrata non sullo sfarzo (che comunque è presente nelle vesti di Gesù, della Madonna e in altri punti), ma nella redenzione dell’umanità ad opera di Dio, tramite il sacrificio di Cristo. Il messaggio fondamentale è quello della salvezza e della speranza. La venuta di Cristo è annunciata, prima dalle Sibille eritrea e cumana, poi dallo Spirito Santo alla Vergine (con sullo sfondo una straordinaria veduta di Gand).
Nell’imponente Deesis, viene esaltata la misericordia e la bontà divina, la sua gioventù senza vecchiaia e la sicurezza senza timore (il “non abbiate paura” di San Giovanni Paolo II, recentemente ripreso da Leone XIV). Poi si può ammirare l’Agnello Mistico (con un volto antropomorfico), adorato dalle schiere dei Santi, dei giusti, e dalla moltitudine immensa descritta in una pagina dell’Apocalisse. L’Agnello mistico (Lambsgod in fiammingo) salva l’umanità dal peccato in cui l’avevano fatta precipitare Adamo ed Eva, che vengono rappresentati nudi, con la sola foglia di fico, con un realismo straordinario, destinato a non essere eguagliato neppure da Masaccio nella Cappella Brancacci. Si tratta quindi di una visione di speranza salvifica che non rappresenta l’Inferno, e pertanto diversa dal Giudizio Universale di Giotto agli Scrovegni, di Luca Signorelli a Orvieto e di Michelangelo nella Sistina. Questa visione di speranza salvifica è da accostare a quella che si rinviene nel Giudizio Universale di Rogier van der Weiden, che si trova nell’Hotel de Dieu a Beaune, presso Digione, l’Ospedale fatto costruire dal Cancelliere Rolin come gesto di mecenatismo a favore della Comunità, e costituisce il carattere fondamentale dell’opera, volta trasmettere il messaggio della sua affermazione, anche in quel mondo caratterizzato da guerre e immense sofferenze.
Il Polittico di Gand è giunto a noi miracolosamente a seguito di una serie di vicissitudini che costituiscono lo specchio tragico delle guerre europee e dei loro istinti fratricidi. Infatti, prima fu salvato dalla furia iconoclasta dei Protestanti, poi derubato da Napoleone (sempre lui) e restituito a Gand alla sua caduta. Durante la seconda guerra mondiale, Hitler (degno emulo del Corso), lo aveva depredato e trasportato nella miniera austriaca di Altsee (che aveva ordinato di far saltare in aria) e salvato dai Monuments Men americani (al riguardo è imperdibile la visione del film con George Clooney). Oggi è ammirato nella Cattedrale di San Bavone da milioni di persone, che possono riflettere sul suo fondamentale messaggio cristiano di speranza salvifica e del bisogno di Pace disarmante e disarmata recentemente ricordato da Papa Leone XIV.
Paolo Castellari