Quando Benedetto XVI si dimise nel 2013, il ceramista faentino Vittorio Ragazzini dovette sospendere la realizzazione del suo stemma pontificio in ceramica. Passato qualche tempo, d’intesa con il reggente della Prefettura della Casa Pontificia, monsignor Leonardo Sapienza, si mise a lavorare allo stemma di papa Francesco. Alto più di un metro, doveva essere una testimonianza della ceramica faentina, per altro già presente in Vaticano con un presepe di diverse statue ad altezza naturale e non solo.
La consegna dello stemma pontificio nel 2016
Ma lavorando per Francesco, andando a usare metalli fissati a fuoco come l’oro e l’argento si rischiava un eccesso di preziosità non gradita. «Proprio monsignor Sapienza mi scrisse una lettera che diceva di questa probabilità e mi invitava a non procedere. Ricordo – dice Vittorio – che mi consultai con il vescovo Claudio. Era complicato trovare una soluzione. Poi mi son detto, ma la ceramica è un’arte povera impreziosita dai colori. Pertanto pensai ai ‘lustri’ con effetto colori metallici simil oro e argento. In quanto più similari scelsi i ‘lustri’ della Bottega di Ivana e Saura Vignoli. Risposi a monsignor Sapienza, dovetti pazientare qualche mese, ma alla fine egli mi diede il via». Dopo aver preso accordi con padre Leonardo, riuscì a combinarne la consegna per il 19 ottobre 2016, in piazza San Pietro, durante l’udienza del mercoledì. «Lo stemma l’avevamo già portato in settimana – aggiunge – il mercoledì mattina giungemmo in piazza in 99 da Faenza. Tutti fummo chiamati sul sagrato dove ci posizionarono vicino alle transenne, in modo che noi fossimo gli ultimi a salutarlo avendo, così, qualche minuto in più per stare con lui». Avvenuta la consegna, e dopo lo scambio di alcune battute, Vittorio si fece coraggio e chiese di poter fare una foto insieme accanto allo stemma. Francesco acconsentì e dispose che le transenne fossero spostate. «E mi ritrovai accanto a Francesco e al nostro vescovo monsignor Mario Toso, in una foto che conservo con grande cura». Oggi lo stemma è affisso alla parete della “scala monumentale” che porta alla Prefettura Pontificia.
Giulio Donati