“Trump doveva concedere qualcosa. Visto che non ha concesso nulla sulla questione dei dazi, e non poteva, doveva comunque dare un segnale di attenzione alla visitatrice. Quindi, ha accolto la proposta di andare a Roma. Ma, secondo me, non avverrà per questione di ordine pubblico”. Così l’economista Stefano Zamagni commenta l’incontro tra il presidente degli Stati Uniti e il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni.
“Un affare del genere in una città come Roma non è possibile, per le sue caratteristiche urbanistiche – sostiene -. Dovranno per forza scegliere un luogo lontano da centri abitati. Insomma, se si ha un po’ di esperienza si capisce che non è realizzabile una cosa del genere, perché evidentemente i servizi di sicurezza americani, che in questo ci sanno fare, non permetteranno un’operazione del genere.
Non dimentichiamo che Trump ricevette già un attentato quando ancora era sotto elezioni”. L’apertura di Trump, riferita a Meloni, di un possibile incontro con l’Ue nella Capitale, secondo Zamagni, sarebbe un modo per “prendere in considerazione la visitatrice”, ma “Meloni non avrà la soddisfazione di realizzare quanto emerso”.
Come interpreta l’esito dell’incontro tra Meloni e Trump?
Era ovvio che una visita come quella della Meloni non potesse cambiare la strategia che Trump e i suoi intendono portare avanti. E non poteva essere diversamente, perché il piano che Trump sta attuando ha radici non recenti.
Qual è?
Nel 2009, in California viene pubblicato il manifesto del capitalismo oligarchico, questo è il titolo, scritto da Peter Thiel, l’inventore di Paypal, super ricco ora, e poi controffirmato da tutti i personaggi che vediamo ormai quotidianamente citati, l’ultimo dei quali Musk. Leggendo quel manifesto si capisce quello che oggi sta avvenendo.
Quindi la prima osservazione è il superficialismo degli osservatori, anche degli intellettuali, stessi americani ed europei, nel non prendere in considerazione il documento che a sua volta rinvia ai lavori degli anni precedenti della Claremont Institute, che è un think tank localizzato in California, molto ben finanziato: è la roccaforte del pensiero ultraconservatore americano.
Perché sottovalutato?
Perché si pensava che fosse una butade che non si sarebbe mai potuta realizzare e quindi l’errore è stato un errore, forse in buona fede sicuramente, di analisi, analisi critica, perché quello che non si poteva realizzare invece si è realizzato.
Qual è il punto? Perché questo anno 2009?
Perché nel 2007-2008 scoppia la grande crisi finanziaria, e dove? Negli Stati Uniti, chi ha partorito la grande crisi finanziaria, i cui effetti devastanti li abbiamo subiti noi, europei, noi italiani. Ricordiamo quante banche fallite. E quindi quell’evento ha di fatto posto termine alla iper globalizzazione del periodo 1990-2007: Iper, perché prima del 1990 c’era la globalizzazione. Poi tutti infervoriti dai successi che c’erano su tutto il profilo economico, si è andati sul piano della iper globalizzazione.
In quegli anni, all’inizio del secolo, alcuni economisti americani seri come Krugman, premio Nobel, Stiglitz, ma soprattutto Dani Rodrik avevano scritto saggi che però nessuno leggeva e commentava, in cui dicevano di stare attenti perché la iper globalizzazione stava per giungere al termine. Ma perché? Perché essendo loro del mestiere, sapevano già quello che George Stuart Mill, il grande economista inglese di metà ottocento, aveva scritto in un contesto ovviamente diverso dall’attuale, però come sempre accade agli intelligenti, anticipano.
Che cosa dice?
Mill dice che il commercio internazionale comporta dei vantaggi sotto il profilo economico, ma dei costi anche alti sotto il profilo sociale. E’ lì il punto. Lui diceva ‘i gudagni dal commercio e le pene dal commercio’. Il superficialismo di troppi economisti guarda solo il lato economico e non quello sociale. E’ lì l’origine di tutti i guai anche di oggi, perché questa storia dei dazi viene analizzata solo sotto le specie dell’economico, che è rilevante, ma non è il tutto.
Quindi è accaduto che ad un certo punto si verificasse quello che questi autori già avevano anticipato. E’ ovvio che la politica dei dazi di oggi comporta dei costi economici anche per gli Stati Uniti. Non sono così sprovveduti i trampiani. Non tanto Trump che non è uomo di cultura, ma attorno a sé ha persone anche di alta cultura economica. Quindi lo sanno.
E allora perché lo fanno?
Perché il calcolo è il seguente: noi sopporteremo un costo economico come gli altri, però il nostro costo economico sarà inferiore al costo economico che dovranno sopportare gli altri paesi tra cui l’Unione europea. E quindi noi possiamo permettercelo quel costo economico perché partiamo da una base alta, ma voi che siete sul filo del rasoio con questo costo, voi europei, ma lui pensa soprattutto alla Cina e ai paesi del cosiddetto Global South, arriverete al punto in cui dovrete alzare bandiera bianca.
Quanto gli americani sono disposti a tollerare la linea di Trump?
Gli americani, essendo pragmatici, presto, si accorgeranno che non sono più disposti a sacrificare il proprio benessere sull’altare del disegno strategico voluto dai trumpiani. Abbiamo già visto i segnali, perché Bernie Sanders in questi ultimi giorni ha riempito le piazze, ma non solo in una città, in tante. In Michigan i repubblicani hanno già perso, nelle elezioni che hanno fatto l’altro mese, il loro rappresentante al congresso. E questi sono solo segnali, siamo solo agli inizi.
Filippo Passantino – Sir