Il dibattito sui giovani calciatori travolti dal vizio delle scommesse e dalla ludopatia è tornato di attualità dopo le ultime rivelazioni che riguardano diversi calciatori di serie A. La prima reazione a questi fatti ci spinge a pensare che gioventù, denaro, popolarità dovrebbero essere sinonimo di felicità piena ed appagamento. Per quale motivo dunque chi “ha tutto” dovrebbe rovinare la sua vita e la sua carriera con le scommesse e l’azzardo? L’essere umano è un essere relazionale e un cercatore di senso: a soddisfare questa domanda e riempire il vuoto non sono i soldi e la popolarità, ma la qualità della vita di relazioni e l’impegno civile, insomma la generatività della propria vita. La parola “generatività”, che emerge spesso collegata ai temi sociali, esprime a volontà del soggetto adulto di andare oltre il presente, di lasciare un segno nel mondo, attraverso la cura e la preoccupazione attiva per le generazioni, creando e lasciando in eredità nuove fonti di significato e valore. I calciatori di successo da questo punto di vista sono paradossalmente più esposti al vuoto di senso per molti motivi. Sono giovani e dunque pieni di pulsioni che non hanno ancora imparato a padroneggiare e gestire, si sentono onnipotenti perché ricchi e famosi e rischiano di perdere l’umiltà fondamentale per non compiere errori. Ma soprattutto hanno a disposizione quantità esagerate di tempo libero e denaro. È singolare il fatto che le società siano giustamente preoccupate di tutelare il loro patrimonio, rappresentato dai calciatori, e lo facciano con clausole molto severe nei contratti che impediscono loro di andare a sciare o fare altri sport per non rischiare infortuni, mentre sono molto meno attente a “tutelare il loro patrimonio” favorendo la maturazione umana dei giovani calciatori, spesso sradicati giovanissimi dai loro contesti familiari. Così il rischio ludopatia è dietro l’angolo.
Come intervenire sul problema, e in particolare ora quello dei calciatori?
La giustizia riparativa e riabilitativa è più della giustizia ordinaria. Quando pensiamo all’efficacia di una pena dovremmo valutarla in termini di impatto sociale. A uno dei giocatori coinvolti negli anni scorsi sono stati comminati 12 mesi di squalifica dai campi ma 5 di questi sono stati convertiti in attività sociali obbligatorie nelle quali egli ha partecipato a una serie di eventi nelle scuole per parlare di ludopatia e raccontare il dramma della sua esperienza ai ragazzi. Da qui è nato anche un documentario su Prime Video, molto coinvolgente dal punto di vista emotivo. L’attività sociale alternativa ha un potenziale di impatto sociale molto superiore alla sola esclusione dalle partite. Vuol dire provare a trasformare il calciatore, idolo dei ragazzi, in un testimonial di una campagna contro l’azzardo a partire dalla propria esperienza. E sappiamo bene che la cosa più efficace per un oratore non è fare discorsi astratti, ma parlare di ciò che è stato vissuto sulla propria pelle. Il vuoto della povertà di senso del vivere di molti dei nostri ragazzi non si riempie di vizi se si popola di attività generative. Il confine tra solitudine e patologie e modelli positivi di giovani che diventano testimonial è in fondo molto sottile e una pena riabilitativa può aiutare a superarlo nella direzione giusta.
Tiziano Conti