Unire moda etica e narrazione per dare voce ai migranti e favorire la loro inclusione sociale e professionale. È questo l’obiettivo del progetto europeo Textales, promosso dalla sartoria sociale Dress Again promosso da Farsi prossimo. Un’iniziativa che, fino al 2026, coinvolgerà laboratori di sartoria sociale in Italia, Francia e Grecia, con sfilate ed eventi itineranti in tutta Europa. Ne abbiamo parlato con Francesco Morelli cooordinatore di Dress Again e Textales.

Intervista a Francesco Morelli, coordinatore di Dress Again

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Morelli, un modo originale per favorire l’integrazione.

Il nostro obiettivo è promuovere l’integrazione dei migranti attraverso la formazione professionale e la creazione di opportunità di lavoro nel settore della moda etica. Con Dress Again, da anni ci impegniamo per inserire nel mondo del lavoro persone in difficoltà, fornendo competenze sartoriali e favorendo la loro crescita personale e professionale. L’integrazione non è solo insegnare un mestiere, ma facilitare l’inserimento nella cultura e nella società locale. È fondamentale evitare la formazione di piccole comunità isolate

Dalla sartoria alla narrazione: come nasce Textales?

Dietro ogni migrazione c’è molto più di un viaggio. Ci sono persone con un passato, competenze ed esperienze da condividere. Troppo spesso si parla dei migranti come di numeri o problemi, ma noi vogliamo raccontarli come risorsecapaci di arricchire la società.

Come si fa a raccontare una storia con un abito?

Ogni creazione diventerà un veicolo di racconto, un mezzo per esprimere le esperienze dei migranti. Collaboriamo con due laboratori di sartoria sociale, uno a Parigi, l’altro ad Atene, che condividono i nostri stessi obiettivi. A Parigi il laboratorio impiega circa trenta persone con contratti sociali finanziati dal governo francese, mentre ad Atene i migranti partecipano a corsi di lingua e sartoria. Abbiamo anche il supporto del War Childhood Museum di Sarajevo, che si occuperà di raccogliere le testimonianze personali dei migranti coinvolti nel progetto. Questo museo è nato raccontando le storie dei bambini della guerra in ex Jugoslavia attraverso oggetti simbolici, e ora porterà la stessa sensibilità nel nostro progetto.

Come verranno realizzati gli abiti della collezione?

I capi saranno creati con materiali di recupero e tessuti donati da case di moda, rispettando criteri di sostenibilità ambientale. Ogni creazione sarà un’opera narrativa, frutto delle storie dei migranti. Pensiamo agli oggetti simbolo del viaggio: i teloni dei gommoni usati per attraversare il mare, i tessuti per l’ipotermia, le stoffe leggere che una persona in fuga può portare con sé. Tutti questi materiali saranno trasformati in abiti che raccontano la migrazione.

Quali saranno le prossime fasi del progetto?

Stiamo definendo i modelli e la progettazione della collezione, in collaborazione con professionisti della moda e migranti. Il prossimo incontro sarà a Parigi, a maggio dove definiremo i dettagli sartoriali e narrativi. A novembre la collezione sarà pronta e inizieremo a organizzare le sfilate e gli eventi pop-up, che si svolgeranno nella primavera del 2026 in Italia, Francia e Grecia. Oltre agli abiti, porteremo in scena le storie dietro ogni creazione, con un forte impatto emotivo e sociale.

Chi indosserà gli abiti?

Le sfilate saranno inclusive: potranno sfilare volontarie ma anche i migranti stessi, se lo vorranno. Vogliamo che si sentano protagonisti, senza forzarli. Alcuni potrebbero non sentirsi pronti a esporsi così tanto, ed è giusto rispettarlo.

Quali obiettivi vi siete dati con questo progetto?

Vogliamo cambiare la percezione della migrazione, abbattendo stereotipi e pregiudizi. La moda diventa un mezzo per raccontare il viaggio interiore e fisico dei migranti, per mostrare che dietro a ogni storia c’è una persona con talenti, sogni e aspirazioni.


Barbara Fichera