Alla fine l’Atlantic ha pubblicato per intero i messaggi contenuti nella chat “Houthi PC small group creata dall’amministrazione Trump a marzo e in cui era stato aggiunto per sbaglio il direttore della rivista. La decisione è stata presa dopo che la Casa Bianca, il capo del Pentagono e i capi dell’intelligence hanno ripetutamente negato che i messaggi, scambiati tra i massimi responsabili dell’operazione militare, contenessero i piani di attacco in Yemen. Tutti ormai sanno che in quella chat c’erano orari, luoghi, operazioni descritti in modo dettagliato, sull’attacco delle forze militari americani agli Houthi, nella zona del Mar Rosso.La prima sottolineatura che ci viene da fare è che alla Casa Bianca e dintorni, appena possibile e necessario, tutti mentono: da Donald Trump in giù fino alla sua portavoce. Jeffrey Mark Goldberg, direttore di Atlantic, rivista che sul suo sito si definisce “Dal 1857, The Atlantic sfida le convinzioni e ricerca la verità” e definito dalla Casa Bianca “giornalista disonesto e screditato”, è stato involontario testimone di tutta il grave scandalo, dopo aver accettato un invito sulla chat di messaggistica Signal, come ha raccontato lui stesso.

Fonti del Pentagono hanno affermato a Cnn: “Se l’avesse fatto un militare, sarebbe già davanti alla Corte Marziale”.

La Casa Bianca invece fa muro, insistendo sulla propria versione: “Nella chat nessun dettaglio che potesse compromettere l’operazione. L’attacco è stato un successo”, ha detto Donald Trump. Con la portavoce Leavitt ad attaccare Goldberg: “Questa storia è una bufala, è un odiatore, noto per la retorica sensazionalistica”. 

Insomma: i dilettanti si trovano a gestire la sicurezza nazionale americana.

“Ci sono due cose che non si devono fare se vai al governo: inviare messaggini e bere”. Quelle del segretario alla Difesa Pete Hegseth rischiano di diventare le ultime parole famose: che avesse un problema con l’alcol era noto (confermato anche da sua madre), ma quanto capitato dimostra come riesca a mettersi nei guai pure con la messaggistica.Gli altri protagonisti della conversazione che doveva rimanere top secret, tuttavia, non sono meglio. Quando Donald Trump tirava fuori i loro nomi, per sottoporli alla conferma del Senato, il giudizio più spesso circolato era “dilettanti”: gente senza il curriculum e l’esperienza necessari. Adesso, davanti a uno scandalo che farebbe arrossire di imbarazzo chiunque, tranne loro, si è tentati di aggiungere: “allo sbaraglio”.J.D. Vance, il Vice Presidente Usa, sulla carta appare il più preparato: ha una laurea in legge a Yale, è un veterano dei Marines, ha scritto un’autobiografia best-seller e almeno è stato senatore due anni prima di venire promosso vicepresidente. Eppure i media Usa lo prendono in giro perché a questo punto la sua preoccupazione principale è la paura che Trump si sia offeso per una frase venuta alla luce nella chat: “Non sono sicuro che il presidente si renda pienamente conto”. Dalla pubblicazione della chat Vance va in giro a ripetere a tutti la stessa cosa: “Sono al 100% sulla linea del presidente”. Sperando che basti a salvarlo dall’ira del capo e a evitargli il trattamento riservato allo Studio Ovale a Zelens’kyj. “The gang that couldn’t shoot straight” (La banda che non riesce a sparare dritto) era il titolo di un film del 1971 che non ha avuto un’uscita ufficiale in Italia, una commedia su due mafiosi totalmente incapaci: andrebbe bene anche per i responsabili militari americani riuniti in chat per decidere come sparare sullo Yemen, con tanto di giornalista al seguito, giusto per poter raccontare cosa è veramente successo.

In Italia, ai tempi, c’era Corrado con la sua “Corrida, dilettanti allo sbaraglio”.

Tiziano Conti