Quando la guerra irrompe nella vita di un popolo, non porta con sé solo distruzione materiale, ma sconvolge anche l’anima e le certezze di chi la vive. Lo racconta bene Svetlana Kharytonchenko, mediatrice culturale del Cas (Centro di accoglienza straordinaria) del Fontanone di Faenza, che in questi tre anni con l’Asp della Romagna faentina ha accompagnato decine di donne ucraine nel loro difficile cammino di adattamento a una nuova realtà. Ancora oggi sono 25 le persone ospitate, 22 donne e 3 bambini. «Tre anni fa il pensiero dominante era che la guerra sarebbe durata poco – spiega -. Le donne arrivate a Faenza speravano di rientrare in Ucraina nel giro di qualche settimana. Questa convinzione si traduceva in un rifiuto iniziale dell’integrazione: non volevano imparare l’italiano né iscrivere i figli a scuola. L’idea era di mantenere un legame il più stretto possibile con la loro vita precedente, come se si trattasse di una parentesi temporanea». Ma i mesi passavano e la realtà imponeva nuove consapevolezze. «La fase iniziale di rifiuto lasciava il posto a un’anestesia emotiva: molte donne si rendevano conto che il ritorno in patria non sarebbe stato così immediato. La difficoltà di accettare questa nuova esistenza era enorme, soprattutto per chi aveva perso tutto: la casa, il lavoro, la sicurezza di una vita costruita con fatica».
L’esperienza di accoglienza dell’Asp della Romagna faentina: dalla fuga dalla guerra all’accettazione di restare in Italia

Svetlana racconta che, per molte, il dolore più grande era la frattura nei legami familiari. Alcune donne avevano mariti rimasti in Ucraina a combattere, altre si erano ritrovate con parenti a Mosca, in un’imbarazzante contrapposizione che rendeva impossibile qualsiasi rapporto. Altre ancora, dopo un periodo di lontananza, avevano visto le proprie relazioni sgretolarsi sotto il peso di esperienze ormai inconciliabili. La guerra non aveva solo separato i corpi, ma anche le menti e i cuori. «Col tempo, però, è iniziata una lenta trasformazione – ricorda -. Il primo passo è stato aiutare queste donne a vivere nel presente: attività quotidiane, piccoli progetti, impegni concreti per restituire un senso di stabilità. I volontari delle associazioni faentine hanno avuto un ruolo chiave, offrendo corsi di italiano, occasioni di lavoro e momenti di socialità. Anche la cura della propria immagine ha avuto un impatto importante: molte donne, abituate a prendersi grande cura di sé, hanno riscoperto il piacere di dedicarsi al proprio benessere, riconquistando un frammento della loro dignità perduta». Sono state così realizzate attività in collaborazione con i rioni cittadini, visite guidate a Brisighella o al roseto di Persolino. Nei giorni scorsi hanno portato la loro testimonianza in uno spettacolo pubblico realizzato al teatro dei Filodrammatici.

Il lavoro e le barriere linguistiche temi centrali
L’integrazione, però, resta una sfida. Alcune, spinte dalla necessità, hanno trovato impiego in agricoltura o nelle pulizie, ma il sogno di riprendere il proprio lavoro qualificato resta lontano. La barriera linguistica e le difficoltà burocratiche rendono il percorso più lento del previsto. “Su questo, ci sentiamo di lanciare un appello per aiutarle a inserirsi nel contesto lavorativo” chiede Svetlana. Infine, c’è la questione della convivenza, con venti donne che condividono spazi ristretti, con storie e dolori diversi. A tre anni dall’inizio della guerra, le donne ucraine di Faenza hanno trovato una nuova quotidianità. Non è facile accettare di aver perso una parte della propria vita, ma con il supporto di chi le ha accolte, stanno lentamente riscrivendo il proprio futuro. Il loro viaggio non è solo geografico, ma interiore: dalla paura alla speranza, dalla solitudine alla comunità, dalla guerra alla ricerca di una nuova pace. E la ricerca di un lavoro, in questo è fondamentale.

«La gioia più bella di questi anni? Il festeggiare sempre i compleanni assieme, è una tradizione che per noi vale tantissimo – ricorda Svetlana -, e poi vedere i bambini crescere qui, sereni. All’inizio, appena sentivano il suono di un elicottero, andavano a nascondersi sotto le coperte per la paura, Ma i bambini sono come l’erba: se ricevono acqua, crescono rigogliosi e sono più forti di tutto quello che accade loro attorno».
Samuele Marchi