Cristo Gesù a volte entra nei cuori attraverso la predicazione”. “Qui è entrato e sta entrando attraverso le vie della carità, la via del cuore“. Lo ha scritto l’arcivescovo emerito, monsignor Giuseppe Verucchi in occasione della Visita ad limina del 2005. E l’arcivescovo Lorenzo, che ha presieduto le esequie di oggi pomeriggio in Duomo, ha ripreso questa sua sottolineatura che racconta la nostra Chiesa locale, i suoi doni, le sue fatiche. “Ha sempre avuto l’unità e la comunione tra i principali obiettivi”, ha aggiunto monsignor Ghizzoni nell’omelia, che pubblichiamo di seguito, integralmente.

Duomo pieno, il saluto dei ravennati a monsignor Verucchi

In tantissimi, oggi pomeriggio, hanno voluto salutare per l’ultima volta l’arcivescovo emerito di Ravenna-Cervia. Un via via di gente, sin dal primo pomeriggio, da quando dalla città emiliana, sua Diocesi di origine, dove questa mattina è stato celebrata un’altra Messa esequiale, è arrivata la salma di monsignor Verucchi che poi da lunedì riposerà qui in Duomo, a Ravenna, nella cappella con le tombe degli arcivescovi, accanto al cardinal Ersilio Tonini e a monsignor Luigi Amaducci.

I messaggi di vicinanza e cordoglio

concelebrare con l’arcivescovo Lorenzo, c’erano il vescovo di Imola, monsignor Giovanni Mosciatti e il vescovo emerito di Rimini, monsignor Francesco LambiasiMessaggi di condoglianze, ha spiegato monsignor Ghizzoni all’inizio della celebrazione, sono arrivati dai vescovi della Romagna e dal cardinale Matteo Zuppi. Una lettera di partecipazione al lutto della nostra comunità è stata inviata dal segretario generale della Cei, monsignor Giuseppe Baturi e dal cardinal Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano. Sui banchi del Duomo autorità civili e militari, il presidente del consiglio comunale di Ravenna, Massimo Cameliani, il vicesindaco di Cervia Gianni Grandu che hanno voluto esprimere la vicinanza dell’intera comunità civile alla Diocesi. In prima fila i quattro nipoti, Marcello, Gabriella, Giordano e Giorgio e un familiare acquisito, il segretario storico di Verucchi, Adriano Rebecchi.

“Il Signore è il mio pastore”

“Il Signore è il mio pastore” è stato il salmo scelto per il funerale. Un’immagine che è stata al centro anche del Vangelo di Giovanni (Gv 10,11-18) (“Il sono il buon pastore”), quello raffigurato nel mausoleo di Galla Placidia, splendida per rappresentare quello che è un pastore per la sua Diocesi. Anche i canti scelti dal Coro diocesano dei giovani, che ha accompagnato la Messa, parlavano dell’accoglienza, della gioia dell’incontro tra l’arcivescovo emerito e il suo Signore: “Veniamo da te” e “Abbracciami”.

Il testamento spirituale: “Ravenna terra di missione, ma quante porte aperte”

Tanti gli occhi lucidi al momento dell’omelia, quando l’arcivescovo Lorenzo ha letto le parole del testamento spirituale di monsignor Verucchi: “Molti mi hanno voluto bene. Dio solo sa quanti – si legge nel testamento (lo abbiamo pubblicato qui) – . Come farò a ricompensarli? Ci proverò quando sarò lassù“. E poi un pensiero a Ravenna, “terra di missione – scrive ancora Verucchi -. Situazioni difficili. Poche persone a Messa. Ma quante porte ho visto aprirsi, quanti cuori spalancarsi. Ho visto il lavoro prezioso dei sacerdoti”.

Al termine delle esequie, la lunga processione per accompagnare il feretro dell’arcivescovo emerito alla Cappella della Madonna del Sudore, dove in tanti lo hanno salutato con una carezza sulla bara e dove riposerà fino a lunedì quando sarà trasferito nelle tombe degli Arcivescovi.

Pubblichiamo, di seguito, il testo dell’omelia dell’arcivescovo Lorenzo, alle esequie di monsignor Giuseppe Verucchi in Cattedrale

La biografia

Nato il 23 novembre 1937 in diocesi di Modena, a Miceno di Pavullo nel Frignano, monsignor Giuseppe Verucchi è stato ordinato sacerdote il 29 giugno 1961. È stato cappellano di Castelnuovo Rangone dal 1961 al 1971, parroco di Formigine dal 1971 al 1986 e di Fiorano Modenese dal 1997 al 2000. A livello diocesano, ha ricoperto i ruoli di vicario generale dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola dal 1986 al 1997, presidente provinciale della Fism, direttore dell’Ufficio diocesano di Arte Sacra e Beni Culturali.

Il 9 marzo 2000 fu eletto Arcivescovo metropolita di Ravenna-Cervia, venendo ordinato a Modena il 13 maggio del medesimo anno e prendendo possesso dell’arcidiocesi il 3 giugno seguente. Dal 20 gennaio 2013, divenuto Arcivescovo emerito, risiedeva a Modena, dove, fino a quando le forze glielo hanno consentito, si è posto generosamente a servizio della Chiesa locale, dove ha continuato a svolgere un ministero pastorale di ascolto e accompagnamento spirituale per tanti.

Il tempo della malattia: “Non ha mai rinunciato all’Eucaristia”

Nell’ultimo anno si era trasferito alla Casa del Clero dove, a causa della malattia, aveva interrotto tutte le attività pastorali. “Non ha mai rinunciato però a celebrare l’Eucaristia”. Ogni anno tornava a Ravenna per gli appuntamenti più importanti della vita della Diocesi, la Messa Crismale e la festa di Sant’Apollinare.

L’unità, sua stella polare

Nel suo motto “Ut unum sint” aveva condensata la sua missione pastorale, che ha sempre avuto l’unità e la comunione tra i principali obiettivi. Tante le iniziative pastorali e le attività diocesane da lui promosse o sostenute, che si potrebbero elencare e che altri possono fare meglio di me avendolo conosciuto e avendo collaborato direttamente con lui. Io preferisco prendere due scritti originali, di suo pugno, per ricordarlo.

Il ritratto della nostra Diocesi nel suo scritto in occasione della Visita al Limina del 2005

Il primo è una pagina tratta dalla visita ad Limina del 2005, dove dopo aver descritto la situazione culturale e politica della diocesi, aggiunge:

“La Chiesa ha vissuto tempi durissimi (epoca della maggior presenza del marxismo, socialismo, anticlericalismo). Ha avuto preti santi ed eroici: don Giovanni Minzoni, don Angelo Lolli, don Giulio Morelli. Ma anche i preti, i religiosi e i cattolici praticanti “normali” delle nostre parrocchie meriterebbero un monumento per la loro presenza, la perseveranza nella fede, la generosità nella testimonianza. In questa terra la Chiesa dell’ultimo secolo ha percorso soprattutto la via della testimonianza della carità. Preti impegnati ad amare, accogliere e servire: poveri, ammalati, diversabili, anziani, abbandonati, bimbi e fanciulle poveri e soli. L’Opera Santa Teresa è il simbolo di questa Chiesa, ha fatto breccia nel cuore di credenti e non credenti con l’opera dell’Amore. Cristo Gesù a volte entra nei cuori attraverso la predicazione. In questo caso è entrato e sta entrando attraverso le vie della carità, la via del cuore”.

Poi elenca gli ostacoli attuali alla evangelizzazione, negli stili di vita dominanti e nella debolezza della nostra testimonianza di credenti: “Ciò che è più difficile è l’annuncio di Gesù Cristo, la testimonianza di tutta la novità cristiana, il valore della trascendenza, della vita in grazia, del perdono dei peccati, della conversione dei cuori al Signore“.

“Comunione fraterna, ministerialità, missionarietà”

Percorso difficile ma indispensabile. Ecco allora l’insistenza su iniziative pastorali che diano alle persone la gioia dell’incontro con il Signore, esperienze di preghiera, adorazione, esperienze che facciano crescere la comunione fraterna e la corresponsabilità, la ministerialità e la missionarietà. Occorre presentare la Chiesa della Caritas e delle opere caritative, ma anche la Chiesa che ascolta il Signore, Lo accoglie nei Sacramenti; Lo adora nel tabernacolo e Lo serve e ama nei fratelli e in ogni uomo”.

Le parole dette al Papa

Infine una riflessione diretta per l’incontro con il Papa: “Vengo volentieri e con il cuore pieno di riconoscenza per l’occasione che mi è data di pregare sulla tomba degli Apostoli, di incontrare il Santo Padre, di dialogare con vari Dicasteri. Mi preparo all’incontro in spirito di gratitudine e di ringraziamento. Ciò di cui, come vescovo e come Chiesa, sentiamo il bisogno è soprattutto di rinsaldare i vincoli di comunione con la Chiesa che presiede nella carità, di rinnovare l’ubbidienza convinta al Santo Padre, di sentirci capiti, compresi, amati e sostenuti.

Operare per il Signore in una realtà difficile è faticoso! Ma la fatica è leggera se ci si sente in comunione profonda e quasi abbracciati dalla “Carità” della Chiesa di Roma e da quanti la rappresentano. Porto a Roma la situazione concreta della mia “sposa”, i sogni pastorali che ho nel cuore, le difficoltà e le sofferenze che ho sulle spalle. Vengo portando le preghiere, la stima e l’affetto che nutriamo per il Santo Padre.”