Questa volta devo dire grazie a Giovanni Bandini, uno dei tanti amici che mi danno lo spunto per qualche articolo. Mi ha fatto incontrare Anna Bandini (hanno lo stesso cognome, ma non sono parenti) che abita in via Silvestro Lega. Lei è nata a Brisighella il 7 luglio 1933 ed è la seconda degli undici figli di Domenico (Mingàja) e di Fiorina Donigaglia che, scesi dall’Appennino, avevano trovato alloggio in un’unica stanza in via Recuperati.
La storia di Anna, che a soli cinque anni faceva l’elemosina

Mingàja lavorava come bracciante e quando era disoccupato (capitava spesso) cercava di arrangiarsi raccattando legna, ma non bastava e in casa si pativano la fame e il freddo; Anna a soli cinque anni andava alla carità insieme a una signora anziana, povera come loro. Partivano da Brisighella e camminando passavano da un podere all’altro, spingendosi fino alla villa Gessi di Sarna. Grazie al buon cuore dei contadini riuscivano a mettere nella sporta qualche pezzo di pane, un uovo, un po’ di frutta e verdura. Lei ricorda che un uomo, quando le vedeva arrivare, urlava alla moglie: «U j è la babina, cus sôbit un pô ‘d papa». Quel giorno si mangiava. La miseria era tanta e quel poco che riusciva a portare a casa era importante, quindi non la mandarono a scuola. La signorina Antonietta , della famiglia benestante dei Metelli, che si prodigava per i bambini poveri di Brisighella, sapendo che non andava a scuola ed era sempre in giro ad elemosinare, le trovò un posto nell’Istituto di S. Dorotea a Casola Valsenio. Là frequentò le elementari e si trovò bene nonostante la disciplina rigida e i metodi piuttosto spicci delle suore che le insegnarono a cucire e a lavorare a maglia.
La guerra e i bombardamenti
Con i l passaggio del fronte e il pericolo dei bombardamenti le suore la rimandarono a casa e ci tornò a piedi insieme al babbo Mingàja. Arrivati nei pressi del Monticino lui, all’improvviso, la buttò in un fosso salvandola dal mitragliamento di un aereo. Arrivati a Brisighella non potè entrare in casa perchè la mamma Fiorina stava per partorire. Il parto era appena avvenuto quando uno spezzone, sganciato da un aereo, cadde sulla casa; la levatrice uscì di corsa con il fagottino della bambina appena nata fra le braccia, la chiamò chiedendole che nome volesse metterle e insieme corsero a battezzarla. Il giorno dopo (7 ottobre) era la festa della Madonna del Rosario e lei decise di chiamarla Maria Rosaria. La stanza in cui vivevano era stata resa inagibile dallo scoppio, così vennero ospitati nella caserma dei carabinieri e lì fra miseria, paure e distruzioni passarono il fronte. A vivere in quelle condizioni Anna proprio non ci si ritrovava, perciò chiese alla signorina Metelli di poter ritornare in collegio. Nella primavera del 1945 lei l’accompagnò a Imola dove fu accolta nel grande istituto delle Suore del Buon Pastore. Anna vi si trovò bene, la disciplina era meno rigida rispetto a Casola e le suore l’apprezzarono per quel che sapeva fare nel settore della maglieria.
La fine della guerra
i rimase fino al compimento dei 18 anni, il limite fissato per la permanenza in istituto. Avvicinandosi la data del suo rientro a casa, Antonietta Metelli la presentò alla signorina Caterina Archi di Faenza che l’assunse come cameriera con uno stipendio di tremila lire al mese, versate alla sua famiglia. All’inizio si sentiva imbarazzata, quasi in soggezione, a muoversi nelle sale di quel grande palazzo, ma messa a suo agio dal bel modo di fare della signorina Archi, Anna svolgeva volentieri quel suo nuovo lavoro; la domenica pomeriggio, dalle 15 alle 18, prese a frequentare la sede per la Protezione della giovane, di cui era assistente spirituale don Gino Montanari. Una domenica mentre usciva notò un giovanotto fermo sull’altro lato della strada, ma non ci fece caso. La domenica successiva lui era di nuovo lì e le chiese se poteva accompagnarla e si avviarono parlando e dandosi del lei. La stessa cosa si ripetè anche la domenica dopo, ma questa volta il giovanotto rimase con lei anche dentro la sede e venne a sapere che si chiamava Arturo Bartoletti, che era nato nel 1929 e che faceva l’operaio per la famiglia Archi. Con il consenso di don Gino e l’approvazione della signorina Archi continuarono a frequentarsi e il 30 settembre 1954 si sposarono nella chiesina della Mazzolana, la villa degli Archi, con tanto di rinfresco offerto dai proprietari. Lei continuò a lavorare presso di loro, ma si trasferì a Reda dove nacquero i loro figli (Mirella nel ‘55 e Alberto nel ‘56). Arturo, con grandi sacrifici e con l’aiuto di Anna e di sua madre, riuscì poi a costruirsi la casa in via Lega dove lei vive ancora e conserva i ricordi di una storia che sa di favola.
Mario Gurioli