Il 12 gennaio alle 15 si svolgerà nella chiesa del Seminario il rito di chiusura della fase diocesana della causa di beatificazione di padre Domenico Galluzzi, domenicano, fondatore negli anni ‘50 del Monastero Ara Crucis di via degli Insorti a Faenza e morto nel 1992, all’età di 86 anni. Molto conosciuto in Diocesi, attirava a Dio le persone grazie alla cordialità, ma soprattutto alla pace che riusciva a trasmettere. Ne abbiamo parlato direttamente con le monache.

Come vivete questo momento?

Per noi l’appuntamento del 12 gennaio è un compimento, un obiettivo raggiunto. Con quest’avventura dell’Inchiesta ci eravamo proposte, infatti, di riordinare l’eredità di padre Domenico, incontrando i testimoni, riorganizzando l’archivio e radunandone gli insegnamenti. La sobrietà della cerimonia, a cui chiunque potrà partecipare, coglie l’essenziale: dopo anni di ascolto, studio, approfondimento e preghiera, quanto raccolto viene consegnato alla Chiesa, che lo prenderà in esame.

Come è nata l’apertura della causa?

L’intuizione è stata corale: vescovi, presbiteri, religiosi, consacrate, giovani, ragazze, laici, famiglie hanno incontrato in padre Domenico un sacerdote secondo il cuore di Dio, che ha lasciato una traccia nelle loro esistenze. Un segno che è stato un varco, una bussola, una freccia per camminare – tutti – sotto il segno della santità. Per noi della Comunità, puntare lo sguardo sul “padre” è servito a mettere ancora meglio a fuoco la nostra identità di figlie e a scorgere con più chiarezza il sentiero che ci è stato offerto.

Il suo pregio più grande qual era?

Sapeva mettersi accanto. Don Roberto Brunato raccontava volentieri che con lui padre Domenico sfondò chiedendogli del suo sassofono! Anche con le sorelle dell’Ara Crucis aveva tattiche di avvicinamento personalizzate: a qualcuna proponeva elevatissimi discorsi spirituali e con altre trascorreva lieti pomeriggi tra chiodi e martello. Mentre lo si vedeva assorto e chino sulla Bibbia, tutte sapevano che era il numero uno nella pulizia dei bagni. Un dettaglio: è stato confessore della Comunità per oltre trent’anni e sempre – al momento della penitenza sacramentale – sapeva proporre qualcosa di nuovo. Maneggiava con identica cura il turibolo per l’incenso e il cacciavite.

Che tipo era padre Domenico?

È partito svantaggiato: la povertà estrema della sua famiglia, l’allontanamento del babbo, l’impossibilità di studiare, le fatiche della guerra, la salute malferma. Non è mai stato un fenomeno, trascinatore di folle o scrittore brillante. Solo su una cosa si riteneva imbattibile: si è sentito molto amato e per questo ha amato tanto: il Signore, Maria, san Domenico e tutti i santi, le persone che incontrava, i malati, i piccoli e naturalmente i sacerdoti, di cui ha conosciuto anche le più sconcertanti debolezze. Proprio perché amava, questa scoperta non l’ha scandalizzato, ma l’ha attivato e coinvolto. Chi l’ha frequentato lo ricorda accogliente, equilibrato, desideroso di far contenti gli altri. Spesso raccolto, sapeva ridere di gusto. Saggio e capace di consolare, donava calma e serenità. Tanti hanno riconosciuto che dagli incontri con lui si ripartiva rinfrancati, seppur coi problemi rimasti intatti.

Qualche flash della sua vita?

Aveva alcuni ‘pallini’: l’invito alla riflessione come chiave della crescita e come espressione della sua fiducia nella persona che aveva davanti. Chiunque, secondo lui, poteva maturare e migliorare a partire dall’ascolto profondo dello Spirito e dall’osservazione di quanto accade. Poi ovviamente la Messa, sole della sua giornata, e il suo motto: santificarsi per santificare. Viveva così il suo sacerdozio, al servizio della comunione e della Chiesa.

La vita di padre Domenico Galluzzi

Il Servo di Dio padre Domenico Galluzzi op nasce a Cattolica il 15 gennaio 1906. Al battesimo è chiamato Giovanni, ma riceve il nome di Domenico quando, terminato il servizio militare in Marina, nel 1928 entra tra i frati domenicani. Divenuto sacerdote il 23 luglio 1936, si spende a Bologna per la formazione dei giovani frati. Nel 1948 viene assegnato al convento di Faenza, dove la fiducia dei vescovi gli accorda incarichi importanti e delicati. In tanti desiderano incontrarlo attratti dalla sua cordialità, dalla pace che comunica, dai suoi saggi consigli e dall’efficacia della sua preghiera. Suo ideale è la santità dei sacerdoti: per loro consacra se stesso e fonda l’Ara Crucis, monastero domenicano di vita contemplativa, di cui è maestro e guida per oltre trent’anni. Si dedica all’ascolto delle persone, all’accompagnamento spirituale, ad animare gruppi di preghiera. Padre Domenico muore a Faenza il 13 gennaio 1992. Il 30 ottobre 2010 si apre l’inchiesta diocesana sulla sua vita.