Il dottor Augusto Graziani è andato in pensione. Lo abbiamo incontrato per fare due chiacchiere sulla sua esperienza di medico e di uomo. Originario di Russi, dove ha sempre vissuto (il padre era a capo della stazione ferroviaria della città), ha frequentato l’oratorio don Bosco e coltivato la passione per lo sport, partecipando alle attività della Polisportiva Audax, dove molti lo ricordano quale “opposto”, imbattibile a muro, nel sestetto di pallavolo guidato dal mitico Alfredo Dedo Casali. Compiuti gli studi classici al liceo di Ravenna, Graziani si è laureato in medicina presso l’Ateneo di Bologna, specializzandosi poi in cardiologia all’Università di Ferrara, prima di intraprendere la sua attività come medico di famiglia, succedendo a Bruno Baccarini, uno dei grandi medici del dopoguerra. Dall’aprile del 1997 ha svolto la sua attività, in collaborazione con gli altri colleghi presso la Casa della salute, oggi Casa della comunità, che ha sede nei locali dell’Ospedale. E’ stato medico di famiglia per 34 anni, con una «dedizione, tenerezza e certezza che hanno fatto cantare il cuore di chi aveva bisogno di te, sia nel corpo, che nello spirito», hanno scritto amici e pazienti in un manifesto affisso in tutto il Comune.
Dottor Graziani, come ha scoperto la vocazione di medico?
Fin dall’infanzia e dall’adolescenza mi sono reso conto che tutto ciò che riguardava il corpo umano, la sua struttura, il suo modo di funzionare mi affascinava e mi incuriosiva. Poi, crescendo, ho capito che coltivare e dare spazio a quel fascino, a quella curiosità poteva diventare strumento per rispondere ad un desiderio di bene che scoprivo sempre più presente nel mio cuore. Si tratta di quella esigenza che appartiene alla nostra natura e che ci spinge ad interessarci degli altri, ad aiutarli in ciò di cui hanno bisogno. Così mi sono iscritto alla facoltà di Medicina ed è iniziata l’avventura.
La grande professionalità, ma anche “l’umanità coltivata ed espressa fin dalla giovinezza”, per restare al citato manifesto, hanno dovuto fare quotidianamente i conti con il bisogno di cura dei pazienti, affetti da malattie di ogni genere. Come ha affrontato questo bisogno, anche tenendo conto dei diversi temperamenti di ogni malato?
Ciascuno di noi, quando si ammala, esprime a modo suo il bisogno di cura, qualunque sia la natura o la gravità del male, in ragione della sua storia, del vissuto e delle fragilità. Chi si ammala esprime in modo più acuto ed urgente quel bisogno di essere amato, abbracciato, voluto bene che anche chi è “sano”, consapevolmente o meno, può scoprire dentro di sé se è leale con il proprio cuore. Nel rapporto che nasce e si sviluppa nel tempo tra medico e paziente, la cosiddetta “alleanza terapeutica”, ho sempre cercato di mettere in gioco tutto di me, pur con i limiti di cui sono ben consapevole, per dire “qualunque cosa accada io sono con te”.
Molto apprezzato è stato anche quello che alcuni amici e pazienti hanno chiamato “il sacrificio della fedeltà”, ovvero l’aver “reso sacro il lavoro ed ogni malato”. Qual è l’origine di questo “sacrificio” e che cosa ha significato per lei, come medico e come persona?
Come medico, “rendere sacro il lavoro ed ogni paziente” ha significato innanzi tutto un impegno costante ad approfondire le mie conoscenze e a fare tesoro delle esperienze, per acquisire una sempre maggiore professionalità da mettere al servizio delle persone che si sono affidate a me in questi anni. La sorgente di questo impegno, la passione per il mio lavoro, quello che sono oggi come medico e come uomo hanno origine nell’incontro con Cristo, incontro che ho fatto a 16 anni attraverso il volto di amici che me lo hanno reso presente. E’ iniziato allora un cammino umano che prosegue ancora oggi e che tutt’ora mi fa sentire “la carezza di Gesù” (Iannacci dixit), quella carezza senza la quale non si può essere amici né prendersi cura con dedizione, gratuità e fedeltà a chi ci chiede aiuto.
Che cosa fa adesso?
Per ora mi riposo. Spesso dico che sono in luna di miele. Faccio il nonno di Giovanni ed Enea, i miei due nipoti, divertendomi un sacco. Mi dedico alla mia passione della bici e cerco di ascoltare il mio cuore, che rimane con tutto il suo desiderio di compimento, di bene, di bello, di un abbraccio ricevuto e dato. Chissà cosa ne verrà fuori.
Dall’oratorio parrocchiale a medico
Figlio del capo della stazione ferroviaria di Russi, Augusto Graziani ha frequentato da ragazzo l’Oratorio don Bosco e giocato per anni a pallavolo nella Polisportiva Audax. Dopo gli studi classici a Ravenna, si è iscritto alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Bologna, specializzandosi in cardiologia all’Università di Ferrara. E’ stato medico di famiglia per 34 anni a Russi. Dall’aprile del 1997 ha svolto la sua attività presso la Casa della salute, oggi Casa della comunità.
Elio Pezzi