Papa Francesco, come tradizione, ha incontrato oggi i suoi più stretti collaboratori per gli auguri di Natale e parla delle violenze nella Striscia dove recenti raid hanno ucciso anche minori: “Questa è crudeltà, non è guerra”. Il discorso del Pontefice incentrato sul tema del “parlare bene”. Siate “artigiani di benedizione”, esorta, raccomandando di non cedere al chiacchiericcio che “distrugge la vita sociale”. Serve “coerenza”: non si scrivono benedizioni e poi si sparla del prossimo.

“A Gaza crudeltà, non guerra”

Si apre con una nuova denuncia delle violenze nella Striscia di Gaza, quelle che non risparmiano neppure i bambini, il discorso che il Papa, come ogni anno prima di Natale, secondo una tradizione seguita da tutti gli ultimi Pontefici, rivolge ai suoi più diretti collaboratori della Curia romana riuniti per lo scambio degli auguri in vista delle festività natalizie.

L’allocuzione del Pontefice viene introdotta dal saluto del cardinale Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, che punta lo sguardo su quest’epoca “in cui infuria l’incendio delle guerre” e si assistono a “disumanità” e “orrori” che affliggono i cuori.

Le parole del porporato danno lo spunto a papa Francesco per stigmatizzare la violenza dei conflitti, alla luce anche delle notizie di ieri sull’attacco aereo israeliano su un edificio residenziale nel centro di Gaza che ha ucciso almeno sette persone, tra cui quattro bambini. “Il cardinale Re ha parlato della guerra: ieri il patriarca (Pierbattista Pizzaballa, ndr) non l’hanno lasciato entrare a Gaza come avevano promesso e ieri sono stati bombardati bambini – scandisce Francesco -. Questa è crudeltà, questa non è guerra. Voglio dirlo perché tocca il cuore.

“Parlare bene, non male, degli altri”

Francesco passa quindi alla sua allocuzione. Se negli anni scorsi ha elencato le quindici “malattie” curiali o le difficoltà nel processo di riforma, le corruzioni e i tradimenti dietro le piccole cerchie, le “afflizioni” che hanno segnato la vita della Chiesa, per questo 2024 in conclusione e il 2025 che sta per aprirsi, Jorge Mario Bergoglio sceglie come tema del suo discorso quello del “parlare bene degli altri e non parlarne male”.

“È una cosa che ci riguarda tutti, anche il Papa – vescovi, preti, consacrati, laici – e rispetto alla quale siamo tutti uguali, perché tocca la nostra umanità”. Francesco cita la scritta sul foglio attaccato nell’ufficio di “un santo prete” della Segreteria di Stato: “Il mio lavoro è umile, umiliato, umiliante”. 

Una visione forse “un po’ troppo negativa” ma con un fondo di verità, che in qualche modo aiuta a comprendere modalità e funzionamento del lavoro in quella “grande officina” che è la Curia romana. Un lavoro umile, spesso nascosto, in mezzo a una comunità i cui membri rinunciano “a pensare male e parlare male degli altri”, a cominciare da colleghi e superiori, e si fanno invece “artigiani di benedizione”.

“Il chiacchiericcio distrugge la vita sociale”

La tematica, questa scelta dal Papa, è in linea con quella denuncia del “chiacchiericcio” espressa da anni che anche oggi Francesco, a braccio, reitera: “È un male che distrugge la vita sociale, ammala il cuore della gente e porta a niente. Il popolo lo dice molto bene: “Le chiacchiere stanno a zero”. State attenti su questo”.

Artigiani di benedizione

Al di là delle chiacchiere, il “bene-dire” è insito nella missione stessa della Curia romana, “grande officina in cui ci sono tante mansioni diverse” ma dove “tutti lavorano per lo stesso scopo”: diffondere nel mondo la benedizione di Dio e della Chiesa. Nella Chiesa, segno e strumento della benedizione di Dio per l’umanità, siamo tutti chiamati a diventare artigiani di benedizione“.

“Coerenza: non si scrivono benedizioni e poi si parla male degli altri”

In particolare, il Papa indica il “lavoro nascosto del “minutante”” che “nella sua stanza prepara una lettera, perché a una persona malata, a una mamma, a un papà, a un carcerato, a un anziano, a un bambino giunga la preghiera e la benedizione del Papa”. “E questo che cos’è? Non è essere artigiani di benedizione?

È bello pensare che con il lavoro quotidiano, specialmente quello più nascosto, ognuno di noi può contribuire a portare nel mondo la benedizione di Dio. Ma in questo dobbiamo essere coerenti: non possiamo scrivere benedizioni e poi parlare male del fratello o della sorella. Rovina la benedizione”.

La virtù dell’umiltà

Il Pontefice parla quindi di “umiltà”, via da praticare perché una comunità possa vivere con gioia e in armonia. Alla Curia papa Bergoglio rilancia la stessa proposta che fece una ventina d’anni fa in un’Assemblea diocesana a Buenos Aires, e cioè quella di “esercitarci nell’accusare sé stessi. Sono di aiuto, in questo, gli insegnamenti degli antichi maestri spirituali, in particolare di Doroteo di Gaza: “Sì, proprio di Gaza, quel luogo che adesso è sinonimo di morte e distruzione, ma che è una città antichissima, dove nei primi secoli del cristianesimo fiorirono monasteri e figure luminose di santi e di maestri”, dice il Papa.

“Accusare sé stessi è un mezzo, ma è indispensabile”, afferma, “è l’atteggiamento di fondo in cui può mettere radici la scelta di dire “no” all’individualismo e “sì” allo spirito comunitario, ecclesiale”. Infatti, “chi si esercita nella virtù di accusare sé stesso e la pratica in modo costante, diventa libero dai sospetti e dalla diffidenza e lascia spazio all’azione di Dio”. E quando si nota un difetto in una persona, aggiunge il Papa distaccandosi dal testo scritto, si può “parlare solo con tre persone”: con Dio, con la persona stessa, con quello che nella comunità può prendersene cura. “Niente di più”.

“Benedetti che possono benedire”

Alla base di questo stile spirituale c’è “l’abbassamento interiore”, di cui Cristo per primo si è fatto segno, facendosi “piccolo, come un granello di senape”. “L’Incarnazione del Verbo ci dimostra che Dio non ci ha maledetti ma ci ha benedetti”. E proprio perché “benedetti” possiamo allora “benedire”, rimarca il Pontefice. Bisogna essere consapevoli di questa benedizione altrimenti “rischiamo di inaridirci e allora diventiamo come quei canali asciutti, secchi, che non portano più nemmeno una goccia d’acqua”.

Ma il lavoro di ufficio “è spesso arido e alla lunga inaridisce, se uno non si ricarica con esperienze pastorali, con momenti di incontro, di relazione amicale, nella gratuità. Soprattutto, per questo, abbiamo bisogno ogni anno di fare gli Esercizi spirituali: per immergerci nella grazia di Dio, immergerci totalmente”. E “se il nostro cuore è immerso in questa benedizione originaria”, aggiunge a braccio il Papa, “allora siamo capaci di benedire tutti, anche quelli che ci risultano antipatici, anche chi ci ha trattato male. Benedire”.

“Guardare alla Vergine Maria”

Lasciarsi “inzuppare dallo Spirito Santo” è dunque la raccomandazione del Papa alla Curia romana. Il modello a cui guardare, dice, è la Vergine Maria: “Lei è, per eccellenza, la Benedetta che ha portato al mondo la Benedizione che è Gesù”. Francesco cita un quadro, custodito nel suo studio, in cui la Madonna tiene le mani come se fosse una scalina e il bambino vi sale sopra: “Il bambino in una mano ha la legge, con l’altra mano si aggrappa alla mamma per non cadere.

Ma questa è la funzione della Madonna: portare il Figlio. Innalzarlo. E questo è quello che Lei fa nei nostri cuori”. Da qui, un ringraziamento ai tanti minutanti e collaboratori, molti dei quali, sottolinea Francesco, hanno collaborato anche alla stesura dell’ultima enciclica Dilexit Nos: “Quanti hanno lavorato lì! Quanti! Le bozze andavano e tornavano”. Infine l’augurio che “il Signore, nato per noi nell’umiltà, ci aiuti ad essere sempre uomini e donne bene-dicenti”.

In dono due libri Lev

Come di consueto, al termine di questo incontro, il Papa regala dei libri a tutti i presenti. Si tratta di due volumi editi dalla Libreria Editrice Vaticana: il primo è “La grazia è un incontro. Se Dio ama gratis, perché i comandamenti?”, una riflessione sull’importanza della grazia e sulla libertà di ogni cristiano a firma del domenicano Adrien Candiard.

L’altro è “La gloria dei buoni a nulla. Guida spirituale per accogliere l’imperfezione”, di cui è autore un altro domenicano, Sylvain Detoc, una riflessione sulla piccolezza umana e le scelte di Dio spesso sorprendenti.